L’infermiera dei bimbi presente tutte le notti

I bambini sono sempre al centro dei pensieri di Anna Grazia, e loro lo sanno, regalandole spesso disegni che lei si porta a casa. «Sono grandi
soddisfazioni: significa che per loro il ricovero non è stato un trauma. Però devo ammettere che avrei dei problemi in un reparto oncologico

di Giuseppe Culicchia

  La notte, mentre la maggior parte di noi dorme, c’è chi in un letto d’ospedale ha bisogno di cure. Anna Grazia Volpe, infermiera presso il reparto di pediatria dell’ospedale Martini di via Tofane, il turno di notte lo conosce bene. E dire che da ragazza ha fatto l’insegnante in una scuola materna. «Amavo i bambini, e per questo mi sarebbe piaciuto lavorare con loro. Ma già allora entrare in ruolo era difficile: i posti erano pochi, e le graduatorie affollatissime. Così, con una mia ex compagna di scuola ho iniziato a guardarmi attorno, e abbiamo scoperto che c’era questo corso per infermiera pediatrica, tenuto dalle suore all’ospedale Regina Margherita. Mi sono iscritta, e nell’anno 1973/74 ho conseguito il diploma».
  All’epoca, negli ospedali le infermiere diplomate erano poche: nei vari reparti operavano soprattutto suore e infermiere generiche. «Dopo il diploma, ho subito trovato lavoro proprio al Regina Margherita: allora le candidate non erano troppe. E ho subito scoperto che non c’erano molte differenze rispetto a quello che mi avevano insegnato al corso, durante il quale avevamo fatto molta pratica nei reparti con suore, caposala e infermiere generiche. Perché oltre alle lezioni teoriche, impartite di pomeriggio, c’erano i turni di notte, della durata di dieci ore».
  Poi, però, alla fine degli Anni Settanta, ecco il matrimonio, e uno dopo l’altro ben tre figli. «Ho deciso di licenziarmi, e di allevare i miei bambini. Così ho fatto la mamma per vent’anni, salvo che poi i figli sono cresciuti, e sono diventati più autonomi. Così mi sono rimessa a studiare, con l’idea di rimettermi alla prova. Ho superato un nuovo concorso, e nel 1997 ho ripreso a lavorare come infermiera pediatrica con un incarico di sostituzione maternità, sempre al Regina Margherita». In genere, rimettersi in gioco dopo vent’anni non è mai semplicissimo. «Tornare al lavoro proprio lì dove avevo cominciato da ragazza è stato una grande emozione. Tutto era cambiato, a partire dalle tecnologie. Ma ho ritrovato la mia vecchia caposala, pensi un po’. Dopo di che, ho fatto altri concorsi e ho vinto quello per entrare qui al Martini».
  Qual è la parte più difficile, nel lavoro di un’infermiera? «Il rapporto col pubblico», sorride la signora Anna Grazia, senza esitare. «Siamo sempre di corsa, e tutti osservano quel che facciamo. E’ importante non solo rispettare le procedure ma comunicare con i piccoli ricoverati e con le loro mamme, che vivono una situazione stressante. Poi ci sono le difficoltà legate al fatto che oggi molti pazienti sono stranieri, e hanno abitudini alimentari e usanze diverse dalle nostre».Poi c’è la fatica fisica. «Il turno di notte è il turno di notte. E durante le festività un ospedale non chiude mai. Rispetto a tante mie colleghe più giovani io sono più fortunata, perché non ho più bambini miei a cui badare».
  I bambini sono sempre al centro dei pensieri di Anna Grazia, e loro lo sanno, regalandole spesso disegni che lei si porta a casa. «Sono grandi soddisfazioni: significa che per loro il ricovero non è stato un trauma. In realtà poi ci insegnano un sacco di cose. A cominciare dal fatto che vivono l’attimo, sono concentrati sul qui e ora. Per fortuna col tempo ho imparato anch’io a essere presente sul momento e a non portarmi a casa, oltre ai disegni, anche il lavoro. Tuttavia, devo ammettere che avrei dei problemi in un reparto oncologico: i bambini a cui ho visto diagnosticare un tumore me li ricordo tutti, non si possono dimenticare».
  La nottata tipo, per un’infermiera, è scandita da mansioni precise. Ma non solo. «Si arriva alle 21, si prendono le consegne dalle colleghe che smontano e si vede se ci sono delle terapie da somministrare al di fuori degli orari standard. Poi si mettono a posto le cartelle dei ricoverati, si fa il giro con la pila, si controllano le flebo e di pari passo si aggiornano le cartelle per l’indomani. In tutto questo, c’è il campanello che suona, e ci sono i nuovi arrivi che passano dal pronto soccorso». Insomma, non ci si annoia. «Decisamente no», sorride Anna Grazia.
  Quanto conta la pazienza nel vostro lavoro? «Molto. Ma un’altra qualità essenziale è sapersi esimere dal giudicare il prossimo ». Il reparto pediatria dell’ospedale Martini, diretto dal primario dottoressa Capalbo, mette a disposizione dei piccoli degenti una grande sala giochi. «Abbiamo cercato di creare un reparto umano: è fondamentale che la giornata dei bambini ricoverati non sia scandita solo da visite e cure. Le nostre maestre sono bravissime». Com’è cambiata Torino, vista da un ospedale? «Rispetto a quella in cui ho iniziato a lavorare, è un’altra città. Allora nei reparti si sentivano i dialetti italiani, oggi le lingue di tutto il mondo». E alle colleghe più giovani che cosa consiglia? «Di ricordarsi che alcuni nostri piccoli pazienti magari studieranno medicina, e forse un giorno saranno loro a curare noi».

La Stampa, 10 Novembre 2011, pag, 75

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