di Ferdinando Camon
Quando andavano a trovarlo,
Dario Bellezza, Achille Serrao e gli altri, toccavano tutto, spostavano tutto,
come fanno i cattivi figli di un padre scrittore. Uno sgattaiolava fuori dalla
porta, Alberto lo inseguiva col bastone: «Cos’hai preso?», «Ma niente Alberto,
poi te lo riporto». Sono gli aspetti vischiosi e fastidiosi della famiglia, che
fanno una falsa famiglia. Pasolini dice in una poesia di aver amato una
prostituta ma non è nato un figlio, e di questo era contento. Non ha mai
affrontato il problema se la sua omosessualità fosse fuga dalla paternità.
Quando esplose la domanda, era in analisi da Musatti. Smise subito. Troppa
angoscia.
Sì, certo, senza figli si lavora meglio. «Tu
hai dato degli ostaggi alla vita», mi ammoniva Meneghello, qui nello studio
dove sto scrivendo. L’aveva già detto Bacone: «Se hai dei figli, non farai più
grandi azioni, né virtuose né vi tu pero se». I figli ti bloccano nella
mediocrità. Sono ostaggi del nemico, in una vita che è guerra. Ma se noi,
padri, siamo un esercito in guerra, i figli sono avanguardia e retroguardia: la
protezione. Riempiono i vuoti del passato e vanno in avanscoperta sul futuro
che non vivremo. Io non so come ho capito i primi film che vedevo, da bambino.
Ma mi si spalanca una luce quando vedo la nipotina che guarda incantata il
risveglio di Biancaneve, poi Biancaneve sparisce ed appare la matrigna, la
piccola osserva in giro sbalordita e domanda: «Dov’è Biancaneve?». È convinta
che, se non è più nel televisore, è uscita dal televisore e cammina nella
stanza. Qualcosa del genere dev’essere capitato al mio cervello, quand’ero piccolo,
perché a questa riscoperta si eccita. Senza figli e nipoti avrei un cervello non
eccitato, piatto. A 6 anni il primo dei miei figli fece un sogno: «I monti mi
dicevano: quando morirai, crescerai». Significa che ogni conquista passa attraverso
una morte? Al fondo del mio cervello c’era questo concetto, non ero sicuro che
fosse la verità, ma il sogno del figlio me lo confermava. Lui amava il cinema.
Un giornale mi mandava un tesserino perché andassi alla Biennale, lui me lo
rubava e ci andava lui. Sul tesserino c’era la mia
foto, lo lasciavano passare perché
lui era i denti come. Questo resta in me l’esempio di cosa vuol dire rinascere
in un altro: quando la burocrazia controlla quell’altro e lo scambia per te. A
volte mi capita di cercare un libro che non ho mai letto, lo apro e lo vedo
pieno di segni a matita. Sono segnate le frasi giuste con i giusti segni, asterischi,
cerchi, punti interrogativi o esclamativi. Ma se non ho mai letto quel libro,
chi ha fatto quei segni? Un figlio. Dunque, io ho letto quel libro non come io,
ma come figlio. E allora, continuerò a leggere libri, segnandoli con i miei
simboli, anche quando non ci sarò. I bambini si ammalano e finiscono in
Pediatria. L’ospedale vuole che di notte stiano soli, se c’è bisogno ci sono
gli infermieri. Ma le madri non vogliono
lasciarli, e si nascondono negli armadi. Il primario prima di andarsene
apre gli armadi e le scaccia, allora si nascondono nei bagni. Le ho viste. I
figli sono il sancta sanctorum della famiglia, non possono restare senza
sentinelle. Quando andavo a prendere un figlio all’asilo, o adesso una
nipotina, la maestra lo chiama e gli chiede: «Chi è questo signore per te?»,
perché ci sono i ladri di bambini, i bambini sono un valore. Diciamo sempre che
non ci sono più valori: eccolo, un valore. Ho sentito una madre raccontare:
«Passeggio con la figlioletta, questa si nasconde, non la vedo più, e mi son
detta: Mi uccido».
Ho sentito una madre friulana cantare una
canzone al figlio ricoverato in ospedale: «Signor del Cielo ascoltami, / non
farlo mai soffrire, / se c’è dolor per lui, / ti prego dallo a me»: voleva
soffrire e morire al posto del figlio. È difficile che chi non ha figli
attraversi l’esperienza di voler morire al posto di un altro. Per chi li ha, è un’esperienza
perenne. Essere umani vuol dire questo. A Bruxelles alzano boccali di birra per
la gioia di non avere figli? Avranno, come tutti, disgrazie nella vita, ma
nessuna più grave di questa.
LA STAMPA, 2 dicembre 2012,
pag, 33
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