Per l’embrione nessuna pietas


Regole «spietate»?

di Michele Aramini

  L’associazione radicale Luca Coscioni ha consegnato nei giorni scorsi una lettera aperta al presidente Napolitano, in cui gli si chiede di intervenire perché il governo non faccia ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che in prima istanza ha stabilito il 28 agosto di rimuovere il divieto di diagnosi preimpianto degli embrioni, previsto dalla legge 40. L’autore della lettera è un medico che al pari della moglie è portatore sano di fibrosi cistica ed è padre di una bimba – Giada – affetta dalla grave anomalia genetica. Il tono indubbiamente toccante della lettera cattura la solidarietà del lettore, un calore che cresce quando si legge il racconto delle innumerevoli cure che la bimba deve ricevere e la sofferenza dei genitori che temono di poter concepire un altro figlio con la stessa malattia. La lettera insiste sull’incoerenza nella legislazione italiana rilevata dalla Corte europea: visto che si può abortire un figlio malato, allora sarebbe meglio utilizzare la diagnosi preimpianto.

  Sul punto si potrebbe ribadire che l’incoerenza della legislazione potrebbe essere risolta vietando o limitando fortemente i cosiddetti aborti terapeutici, che nulla hanno di terapeutico nei confronti del feto malato. Vale però la pena di riprendere una frase magnifica della lettera in riferimento alla figlia malata, che «ora è la nostra ragione di vita e la nostra fonte di gioia immensa, nonostante la malattia. Non potremmo neppure immaginare la nostra esistenza senza di lei a renderla meravigliosa, nonostante la terribile realtà della fibrosi cistica».

 Nel caso di questo padre e di sua moglie è chiaro che la bellezza della vita della bimba ha trionfato su qualunque idea sul figlio privo di anomalie. I genitori hanno imparato ad apprezzare la loro bambina come un vero
dono. Purtroppo non è così per la mentalità biologista e individualista sempre più imperante. Altri considererebbero una figlia malata solo una disgrazia e gli embrioni malati un pericolo di cui liberarsi. La deriva eugenetica non è una possibilità remota come sembra pensare chi scrive la lettera, ma un rullo compressore che sta abbattendo ogni ostacolo etico. Se giustamente ci deve essere pietas per le coppie che soffrono perché affette da patologie genetiche, non ci deve essere altrettanta – e più forte – pietas per le vite che vengono generate e scartate ? E alla fine non ci deve essere anche una radicale pietas per la stessa umanità, che rischia di ridurre se stessa al solo livello biologico? Nella grande battaglia per la dignità dell’uomo che si sta svolgendo in questi anni dobbiamo sapere distinguere gli obiettivi particolari da quelli generali. A volte sembra che l’obiettivo generale di riaffermare il valore unico di ogni vita umana abbia un prezzo troppo duro, perché costringe a rinunciare a obiettivi particolari. Ma bisogna essere consapevoli che se si perde il valore decisivo della persona umana e della sua inviolabilità non ci sarà più pietà per nessuno: perché avremo valore solo fintanto che converrà.

Avvenire, 13 settembre 2012, pag 336
  

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