Il coraggio della verità quando un bambino si ammala


Un libro riapre il dibattito: è giusto raccontare ai più piccoli, e ai loro fratelli, ciò a cui vanno incontro?

Una diagnosi negativa fa rimettere tutto in discussione: dal lavoro alla famiglia.
 Mentire non è la soluzione

di Giulia Ziino

  Un modo di camminare tutto suo, curvando leggermente il piede destro verso l’esterno. La storia di Thaïs, 2 anni e un sorriso che conquista, comincia così, con un lievissimo difetto che, però, nasconde una verità pesante come un masso. La malattia di un figlio: la giornalista francese Anne-Dauphine Julliand, mamma di Thaïs, ha scelto di raccontare la sua esperienza in un libro, Due piccoli passi sulla sabbia bagnata, appena uscito in Italia ma che in Francia ha già commosso 200 mila persone. Forse perché spalanca un tema che mette a dura prova, in modi e con intensità diversi, tanti bambini e tanti genitori. E se la vicenda di Thaïs non ha un lieto fine resta però, soprattutto, una storia di forza e d’amore.

  E una storia di famiglia: «Perché quando un bambino si ammala, tutta la famiglia rischia di ammalarsi con lui», spiega Elena Bravi, psicologa e psicoterapeuta presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Verona, servizio di psicologia clinica ospedale Borgo Trento. Se non si hanno le difese necessarie, l’impatto con la diagnosi può travolgere: «Si mette tutto in discussione, a partire dal lavoro, dall’organizzazione familiare e l’emergenza si allarga a tutto l’entourage parentale — aggiunge Regina Sironi, segretario generale della Fondazione Abio Italia che si occupa della formazione dei volontari che prestano servizio nei reparti pediatrici —. Se non c’è una rete solida di appoggi familiari per condividere gli impegni o anche solo per sfogarsi, il consiglio è di affidarsi ai volontari».


 L’attesa, l’organizzazione. Ma uno dei primi problemi è anche la comunicazione: fino a che punto i bambini devono sapere? «L’informazione è un diritto del bambino e un dovere dei genitori», ricorda Maria Pia Viggiano, responsabile dell’Unità operativa di psicologia dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Un dovere non facile da assolvere: «Per i genitori può essere difficile e doloroso comunicare al figlio che ha una malattia o che deve sottoposi a un intervento — continua Viggiano —: alcuni preferiscono nascondere o raccontare bugie. È molto rischioso, perché il bambino potrebbe perdere la fiducia verso i genitori, sentirsi ingannato». O lavorare di fantasia e immaginare scenari peggiori di quelli reali. Perché il silenzio non sempre riesce a nascondere, anzi: «I bambini, anche i più piccoli, si rendono sempre conto di quello che sta succedendo, dei timori e delle ansie dei genitori e
tenerli all’oscuro non può che essere controproducente — avverte Viaggiano —.Vanno informati però con modi e tempi adeguati all’età. Se i genitori non sanno come e cosa dire possono avvalersi del sostegno dello psicologo ospedaliero».

  Il rischio del silenzio c’è anche in situazioni più comuni, come un semplice prelievo: «Per le mamme anche questo può essere un momento drammatico — spiega Simonetta Gentile, responsabile di Psicologia clinica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma —, per questo stiamo lavorando a un progetto per assistere i bambini durante il prelievo, anche solo spiegandogli che deve respirare profondamente». La parola chiave, spiega Gentile, è coinvolgimento: «Se il bambino conosce spazi, modi, tempi, magari perché lo si è fatto giocare

con un modellino degli strumenti medici, sviluppa fiducia ed è più collaborativo». Il gioco viene in aiuto in varie situazioni: «Aiuta a dare un senso di continuità al bambino e anche a progettare il futuro, a dare speranza».

 Continuità. Il gioco, gli affetti, lo studio. Ma anche i rimproveri: «Presi dall’ansia i genitori rischiano di abdicare al loro compito educativo — avverte Elena Bravi — ma essere trattato in modo diverso può disorientare il bambino: per questo, se disubbidisce, deve essere sgridato come avveniva prima. Non è facile, perché spesso scatta un meccanismo di compensazione verso bambini che già devono affrontare il trauma della malattia». Un altro aspetto da tenere presente sono i fratellini: anche loro vivono l’emergenza e possono sentirsi trascurati. «Spesso — continua Bravi — il dolore dei fratellini, soprattutto maggiori dunque già un po’ gelosi, è invisibile: i genitori faticano ad accorgersene. I segnali? Quando li sentiamo dire "vorrei essere malato anche io" o "ricevere anche io i regali in ospedale", o se si sentono colpevoli per la malattia del fratello». Il consiglio è di non tenerli all’oscuro: «Si sentirebbero tagliati fuori. E il contatto tra fratelli è importante da entrambe le parti».

Corriere della Sera, 15 settembre 2012, pag, 47

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