La Corte di Strasburgo
condanna la legge italiana
Secondo i giudici si violano
i diritti umani se si impedisce a chi sia stato abbandonato di risalire ad
alcune informazioni sulla propria origine.
da Giovanni Maria Del Re
Una persona adottata da bambino ha diritto di
conoscere prima o poi chi è la propria madre biologica, anche se questa ha
scelto di mantenere l’anonimato. Ancora una volta la Corte europea per i
diritti umani (che fa capo al Consiglio d’Europa e niente ha a che fare con
l’Ue) promulga una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia foriera di
importanti conseguenze.
Nella fattispecie, la Corte di Strasburgo ha
dato ragione ad Anita Godelli, una donna di 69 anni che ha fatto ricorso per
protestare contro il divieto della legge italiana 184 del 1983 di conoscere
l’identità della madre biologica se questa, lasciando il proprio neonato
all’adozione, ha chiesto di restare segreta. Una legge, spiega la Corte, che
viola l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani (diritto al
rispetto della vita privata familiare). La sentenza ha una particolare
rilevanza soprattutto per quelle donne che rinuncino all’aborto in cambio della
garanzia di poter dare in adozione il neonato restando anonime.
Vediamo i fatti. La Godelli, che scoprì a 10
anni che i suoi genitori non erano biologici ma solo adottivi, invano chiese
loro di rivelare chi fossero i suoi veri genitori. «Ella – si legge in una nota
diffusa dalla Corte – afferma di aver vissuto un’infanzia molto difficile a
causa del fatto di non poter conoscere le proprie radici. All’età di 63 anni,
la ricorrente ha avviato nuovamente dei passi in questo senso, ma è stata
respinta dal momento che la legge italiana garantisce il segreto delle origini
e il rispetto della volontà della madre». Da notare che, come sottolinea
la
stessa nota, la Godelli non ha chiesto di sapere nome e cognome della vera
madre, ma soltanto "elementi non identificanti" delle sue origini
biologiche.
Ebbene, secondo la Corte di Strasburgo la
legge italiana è troppo squilibrata a tutela della volontà di anonimato della
madre. «Il sistema italiano – si legge nella nota della Corte – privo di
qualsiasi meccanismo che cerchi un equilibrio tra gli interessi concorrenti
(della madre all’anonimato e del bambino adottato a conoscere le proprie
origini, ndr) ha inevitabilmente dato una preferenza cieca ai soli interessi
della madre biologica». La Corte ricorda che il Parlamento italiano sta
discutendo una possibile modifica della legge dal 2008. «Se la scelta delle
misure volte a garantire il rispetto dell’articolo 8 (della Convenzione, ndr)
nei rapporti tra individui – si legge ancora nella nota – è di competenza, in
linea di principio, del margine di valutazione degli Stati, nella misura in cui
la legislazione italiana non dà alcuna possibilità al bambino adottato e non
riconosciuto alla nascita di chiedere sia l’accesso a informazioni non
identificanti sulle sue origini, sia la reversibilità del segreto, la Corte
ritiene che l’Italia non ha cercato un giusto equilibrio tra gli interessi ed è
andata oltre il suo margine di valutazione. La Corte conclude che vi è stata
violazione dell’articolo 8». L’Italia, peraltro, dovrà anche risarcire la
Godelli con 15.000 euro. La questione più cruciale, tuttavia, è un’altra: e
cioè la necessità di modificare la legge 184. Un modello possibile lo indica la
stessa Corte, e cioè quello francese, in cui è possibile chiedere almeno la
reversibilità dell’anonimato della madre se questa si dichiara d’accordo.
Potrebbe essere una soluzione di compromesso che dà qualche chance in più ai
bambini adottati di conoscere le proprie radici senza compromettere
drasticamente il desiderio di anonimato di una madre che non può, o non vuole,
tenere il proprio bambino. L’Italia, comunque, entro tre mesi potrà far ricorso
di fronte alla Gran Camera della Corte Ue.
Avvenire, 27 settembre 2012,
pag, 3
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