Abortire per precarietà e paura di perdere il lavoro


di Laura Bastianetto

  «Me so preso 10 caffè, bello de zio. Sbrigate!». «È nata Agata, la mia stellina», «Asia è nata, grazie a Simona». Papà, zii, nonni. Riusciamo a vederli tutti mentre passeggiano nervosamente da un lato all’altro  del reparto maternità dell’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, in attesa del nascituro. E tra un caffè e l’altro, a qualsiasi ora del giorno e della notte, riempiono di scritte, messaggi, sfoghi e auguri quei muri interni del padiglione che inneggiano alla vita.

  L’unica cosa da fare è aspettare senza poter pianificare nulla. Anche al piano inferiore si aspetta nervosamente. Qui però si programma tutto, dal controllo ecografico alle analisi, dalla consulenza psicologica al ricovero fino all’espulsione completa del feto.

  Qui si entra nella 194.

Un cartello segnala il reparto dell’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza, ndr). Conduce a una scaletta a chiocciola, non a norma, che finisce in un piano interrato, come se quelle stanze fossero la polvere da nascondere sotto il tappeto. Eppure questo reparto, al contrario, è un piccolo tesoro celato sotto un grande materasso di eccellenza e burocrazia dove ogni giorno, con orari estenuanti, lavorano indefesse dottoresse, infermiere, psicologhe per «garantire il diritto di scelta della donna», spiega la dottoressa Giovanna Scassellati. La Scassellati è la responsabile del reparto dal 2000. A lei si deve l’introduzione della figura del mediatore culturale. «Che non è un semplice traduttore –sottolinea- ma ci aiuta nell’e du c azione alla salute delle donne migranti, che sempre più vengono ad abortire». Qui ogni giorno, per 5 giorni alla settimana, si effettua una media di 10 Igv tra quelle chirurgiche e quelle mediche (per intenderci la pillola Ru486). «Il lunedì è il giorno più affollato
come quando s’inizia una dieta -raccontano le dottoresse- le nostre pazienti vengono da noi dopo aver parlato con il medico di famiglia o al consultorio». Nei primi otto mesi del 2012, a due anni dall’introduzione della pillola abortiva (su cui non erano mai stati fatti rilevamenti), già 1400 donne si sono recate al San Camillo per abortire. Di queste, ad oggi 259 hanno preferito la Ru486 (nel 2011 sono state 294). «L’uso della Ru486 è sempre più diffuso –racconta la Scassellati- sia tra le italiane, sia tra le straniere”. Paola (il nome è di fantasia) è una dottoressa del Sant’Eugenio. Ha già due figli ed è rimasta incinta del terzo adesso, a 45 anni. «Il medico mi ha detto che al San Camillo praticavano l’interruzione di gravidanza con la Ru486. L’unica struttura in tutto il Lazio. Da medico chirurgo posso dire che se uno può evitare l’intervento è comunque meglio». Tra le straniere c’è una crescente richiesta di aborto farmacologico, soprattutto tra le donne arabe perché «secondo l’Islam –spiega la Scassellati- il feto acquista uno “s pi ri to ” 120 giorni dopo il concepimento e solo entro questo tempo è consentito interrompere la gravidanza». Tralasciando per un attimo la questione della Ru486 e la battaglia ideologica che è nata ancor prima della sua introduzione nel sistema sanitario italiano, ciò che colpisce nei dati del San Camillo è il livello di scolarizzazione delle donne, la loro età, e soprattutto le motivazioni che spingono a interrompere la gravidanza. «Tra il 2010 e i primi 8 mesi del 2012 abbiamo assistito solo 4 minorenni –spiega ancora la Scassellati- più una buona fetta nella fascia d’età tra i 18 e i 25 anni, con un picco tra i 26 e i 45. Per il 45% si tratta di ragazze con un diploma, il 35% ha la laurea e il restante 20% l’attestato di scuola media. Durante il colloquio con la psicologa chiediamo i motivi della decisione e le risposte sono sempre adducibili alla crisi economica». Ecco l’elenco delle risposte che vengono date ogni volta: «precarietà lavorativa», «mancanza di risorse economiche», «sono disoccupata», «non posso lasciare il lavoro per accudire il bambino», «mio marito è disoccupato», «questa gravidanza mette a rischio l’attività lavorativa», «non sono pronta ad avere un altro figlio».
   Fino a qualche mese fa c’era anche il ricatto delle dimissioni in bianco. Ora quel pericolo è scampato, ma la sostanza non è cambiata. Si ha paura di fare un figlio perché c’è il rischio di perdere il proprio lavoro. E questo è ancora più evidente se si guarda il quadro d’insieme delle statistiche in possesso del reparto 194, che vede pazienti con relazioni stabili, occupate, con un livello d’istruzione medio alto e con la presenza di altri figli. «In generale le donne sanno molto presto se vogliono interrompere la gravidanza – prose gue la Scassellati- la pillola abortiva risulta meno invasiva, più naturale e, accorciando di 2-3 settimane i tempi di attesa, diventa per loro quasi un sollievo, tenuto conto che il desiderio più frequentemente espresso durante i colloqui è: «vorrei che tutto questo finisse presto». In ogni caso dai dati presentati martedì dal Ministro della Salute Renato Balduzzi emerge che in Italia c’è una tendenza alla diminuzione del numero delle Ivg. Di contro, dopo un notevole aumento negli ultimi anni, si registra una stabilizzazione generale dell’obiezione di coscienza tra ginecologi e anestesisti. Anche se in diverse Regioni, soprattutto al sud, si contano rispettivamente 8 ginecologi e 7 anestesisti obiettori su 10. Un freno per la Ru486, che deve scontare anche l’imposizione per legge del ricovero di 3 giorni, anche se nella maggior parte dei casi le pazienti firmano e se ne vanno senza occupare il posto letto per le 72 ore. Nei giorni scorsi la Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194), in una lettera  aperta al Governo Monti, ha proposto di ridurre il ricovero per l’interruzione farmacologica. E in tempi di spending review si risparmierebbero i tempi di attesa e i costi per il sistema sanitario.

Tra le dottoresse del San Camillo, unica struttura nel Lazio a usare la RU486

Si sceglie l’Ivg perché la gravidanza mette a rischio l’attività lavorativa

Obiezione di coscienza, Boom al Sud

ccc Diminuiscono gli aborti in Italia, secondo la relazione del Ministero della Salute. Nel 2011 sono infatti stati effettuati 109.538 aborti (dato provvisorio), con un decremento del 5,6% rispetto al dato definitivo del 2010 (115.981 casi) e un decremento del 53,3% rispetto al 1982, anno in cui venne registrato il più alto ricorso all’Ivg (234.801 casi). Mentre si è registrata, a partire dal 2010, dopo un notevole aumento negli ultimi anni, una stabilizzazione generale dell'obiezione di coscienza tra ginecologi e anestesisti. Anche se in diverse regioni, soprattutto al sud si contano, rispettivamente, 8 ginecologi e 7 anestesisti obiettori su 10. A livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58.7% di obiettori di coscienza del 2005, al 69.2% del 2006, al 70.5% del 2007, al 71.5% del 2008, al 70.7% nel 2009 e al 69.3 nel 2010. Percentuali superiori all'80% tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85.7% in Molise, 85.2% in Basilicata, 83.9% in Campania, 80.6% in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75% in Molise e Campania e 78.1% in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27.7%) e in Valle d'Aosta (26.3%). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo dell'86.9% in Sicilia e del 79.4% in Calabria.

Il Giornale, 11 ottobre 2012, pag, 6

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