
Dunque, allattare e lavorare si può. Come?
Innanzitutto, consiglia Giorgia Cozza, sfruttando tutte le opportunità
garantite dalle leggi italiane, dall’astensione obbligatoria a quella
facoltativa, dai permessi giornalieri per l’allattamento alla richiesta di
part-time, telelavoro e altre forme di +flessibilità lavorativa (che però
implicano il consenso, e il buon senso, del datore di lavoro). In secondo
luogo, sfatando i luoghi comuni: “Il latte ormai è acqua, non gli serve più”,
“Tanto se rientri al lavoro il latte va via”, “Ma perché devi fare tutta questa
fatica, il latte artificiale è uguale!” e via di questo passo. E allora una
buona informazione è la prima alleata delle donne che intendono proseguire
nell’allattamento anche dopo il rientro al lavoro. Innanzitutto val la pena
ribadire che il latte materno e i suoi sostituti artificiali non sono affatto
equivalenti quanto a valore nutrizionale e capacità di creare difese
immunitarie nel bambino. In secondo luogo, se il bimbo è già grandicello e ha
iniziato a mangiare i cibi
solidi, la produzione di latte si sarà adeguata -
sia in termini quantitativi che qualitativi - alle nuove esigenze, e il bambino
potrà attaccarsi al seno prima che la madre esca di casa e al suo rientro,
senza che questo comporti la “scomparsa” del latte. Se invece il bambino è
ancora piccolo e il suo pasto principale è ancora rappresentato dal latte, la
soluzione è quella di tirarlo per conservarlo in modo che chi si occupa di lui
- i nonni, una babysitter, un nido (anche se non sono molti quelli che
accettano il latte materno) - possa offrirlo al bimbo durante l’assenza della madre.
Che, al suo ritorno, avrà modo di recuperare il tempo perduto attaccando il
bambino al seno.
L’Espresso, 23 agosto2012,
pag, 96
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