
La diagnosi preimpianto pone a livello etico
il dilemma della selezione qualitativa degli embrioni con la conseguente
distruzione, se non corrispondono a determinati parametri o desideri. C’è
infatti il rischio di considerare l’embrione umano come semplice «materiale da
laboratorio».
Quest’uso «strumentale» altera il concetto
stesso di dignità umana o dignità della persona, che andrebbe riconosciuta a
tutti. C’è inoltre il rischio di far passare l’idea che le persone malate o
disabili non dovrebbero esserci. Mentre malattia e disabilità appartengo alla
condizione umana e riguardano tutti in prima persona anche quando non se ne fa
esperienza diretta.
A una coppia che non può avere figli naturali
mi permetto di dire che esistono molti bambini nel mondo a cui è negato il
diritto di avere una famiglia. E se anche la via dell’adozione o dell’affido
può apparire più lunga e difficile ha come esito una piena genitorialità ed è
segno di grande generosità e responsabilità verso chi spesso ha già subito
solitudine e sofferenza.
L’Eco Di Bergamo, 29 agosto 2012, pag, 6
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