E Craig Venter fa la mappa
dei microbi nell’uomo
di Elena Dusi
SIAMO uomini o microbi? Adar
retta ai numeri, la risposta sarebbe sicuramente la seconda. Sulla pelle e
all’interno del nostro organismo vivono infatti 100 trilioni di batteri: il
decuplo rispetto alle cellule che compongono ciò che tradizionalmente
chiamavamo “uomo” e che ora viene spesso considerato da medici e scienziati
come un “superorganismo”.
DEFINIRE parassiti questi virus e batteri
sarebbe sbagliato. Più le ricerche gettano luce sulla loro varietà e ricchezza
di funzioni, più si scopre che i nostri microbi sono semplicemente parte di
noi. Ci siamo evoluti insieme. Ci scambiamo in continuazione favori. L’uomo non
potrebbe vivere senza di loro, né loro senza l’uomo. La copertina che
l’Economist dedica alle ultime scoperte su quello che gli scienziati hanno
ribattezzato “microbioma” suggerisce che la stessa definizione di essere umano
andrebbe cambiata. Da “individuo” si dovrebbe passare a “ecosistema” frutto di
tanti elementi integrati. Anziché essere un “io”, l’uomo andrebbe piuttosto
trattato come un “noi”
A gettare luce sui nostri 100 trilioni di
compagni di viaggio sono oggi gli strumenti che sequenzia no il Dna, gli unici
in grado di tracciare il profilo di migliaia di specie diverse, spesso nascoste
negli anfratti irraggiungibili del nostro organismo, intestino in primis. Il
progetto “microbioma umano” lanciato nel 1997 dai National Institutes of Health
statunitense, oggi ha prodotto i suoi primi risultati, pubblicati a giugno su
Nature come copertina. Grazie a un lavoro considerato la tappa successiva al
sequenziamento del Dna umano (e al quale non a caso ha partecipato l’istituto
di Craig Venter, pioniere della lettura dei geni), 200 scienziati di 80
laboratori hanno
analizzato i milioni di geni dei batteri prelevati da 250
individui, scoprendo un mondo assai più ricco e variegato del previsto. Ai
nostri 23mila geni, analizzati nel 2000 dal progetto “Genoma umano”, vanno ora
aggiunti quei 3 milioni di geni di virus e batteri che consentono il
funzionamento del nostro sistema digestivo, di quello immunitario, del metabolismo
e perfino - secondo studi recenti ancora tutti da confermare - regolano lo
sviluppo del cervello nei bambini e causano disturbi come l’autismo.
«Le persone obese hanno un microbioma diverso
da quelle con peso normale» spiega Davide Festi, gastroenterologo
all’università di Bologna. «Purtroppo però non sappiamo se questo squilibrio
sia causa o effetto dell’ingrassare. Stesso discorso vale per le malattie di
fegato. Sappiamo che c’è un rapporto con i microbi del sistema digerente. Ma
siamo lontani dal saper intervenire. Studiare questi microrganismi è complesso
e costoso. Occorre sequenziarne il genoma, e questa restringe il campo a un
piccolo numero di pazienti». Sempre all’università di Bologna, Patrizia Brigidi
che insegna microbiologia industriale è fra i coordinatori del progetto europeo
NuAge per lo studio degli effetti della dieta sul microbioma negli over 65: «La
scuola europea, a differenza di quella americana, è convinta che un cambiamento
della dieta abbia un’influenza molto rapida sulla popolazione di batteri che
vive dentro di noi. Per questo abbiamo deciso di studiare gli effetti di una
dieta mediterranea ricca di vitamina D, fibre, probiotici e olio di oliva sulla
salute degli anziani e sullo stato di infiammazione dei tessuti del loro corpo».
Una buona salute, si è infatti scoperto, non è effetto solo del nostro
comportamento, ma anche del rapporto che manteniamo con i microbi che sono
parte di noi.
La Repubblica, 19 agosto 2012, pag, 23
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