In Malesia, all’ultimo di una serie
ricorrente di seminari per aiutare insegnanti e genitori a individuare segni di
omosessualità nei bambini, condotto dal viceministro per l’Educazione, hanno
partecipato 1.500 persone. A maestri,
mamme e papà, veniva spiegato, per esempio, che in un maschietto la preferenza
per vestiti stretti e grandi borse è da ritenere “contro natura”. Meglio intervenire
per tempo: nel Paese (a maggioranza islamica) il sesso gay è illegale e i
trasgressori rischiano pene fino a 20 anni, fustigazione e multe.
All’opposto gli svedesi: dopo aver inaugurato
il primo asilo “neutro” (che cresce i piccoli senza distinzione di genere) ;
dopo aver introdotto, per legge, 170 nomi “unisex”, buoni per neonati di
entrambi i sessi; e dopo proposte varie di toilette unite per i due sessi e
campionati unici di bowling per maschi e femmine, hanno inventato un pronome “neutro”(“hen”),
che completa la gamma esistente: il maschile “han” (lui) e il femminile “hon”
(lei). Lotta aperta alla discriminazione sessuale e pieno sostegno della
parità, in attesa che i cuccioli d’uomo sviluppino nella maniera più naturale e
autonoma quello che sentono di essere.
Nessun condizionamento. Nessuno stigma.
Negli Stati Uniti, ci informa il New York
Times, terra fertile d’incontro di mille mondi diversi, rigidi corsi di
“rieducazione” convivono con l’approccio morbido della teoria “queer” (o della
“fluidità”). Che predica l’esistenza di
uno spettro di generi anziché due
categorie contrapposte. Una sfida alla pratica comune di dividere in
compartimenti separati la descrizione di una persona perché entri in caselle
definite. Maschio o femmina. Bambino o bambina. Laddove, magari, il piccolo in
questione fatica a conformarsi a modelli inflessibili. Eterosessuale, gay o
donna: tutto un lessico viene messo tra parentesi, per dare sfogo alla libera
espressione di sé.
Il reportage del quotidiano americano
racconta di bambini che sfidano la legge di gravità, che certi giorni si
mettono la gonna, si dipingono le unghie e giocano con le bambole. E altri
giorni si scatenano, lanciano giocattoli e fingono di essere l’Uomo Ragno.
Indaga la fatica del loro “genere variante”. E la difficoltà delle famiglie di
accompagnarli in quello spazio intermedio, insegnando loro a non vergognarsi di
ciò che sentono.
Il merito dell’analisi è quello di rendere
pubblica, visibile, una questione che è sempre stata risolta nel privato.
Grazie anche a Internet, si va diffondendo la tendenza a condividere le
esperienze e le informazioni, la disponibilità a fare rete, a cercare e dare
supporto. Le persone di genere fluttuante sono sempre esistite. “Variante di
genere non convenzionale”, la definiscono gli psicologi: “Un fenomeno che
interessa una fascia percentualmente piccola della popolazione – spiega Antonio
Prunas, ricercatore di psicologia clinica alla Bicocca di Milano -. Forme
non frequenti ma non patologiche, che
riguardano la sfera psichica e non sono necessariamente legate all’orientamento
sessuale”.
Preferenze per giocattoli e abbigliamento,
atteggiamenti e impostazione della voce: gli studi citati dicono che dal 2 al 7
per cento dei maschi sotto i 12 anni mostra comportamenti che valicano il
confine. Che a dieci anni molti di loro smettono di comportarsi in modo non
convenzionale. E che tra il 60 e l’80 per cento dei bambini “rosa” diventano
gay. Gli altri diventano eterosessuali o cambiano sesso, con l’aiuto degli
ormoni e della chirurgia. Le statistiche che riguardano gli adulti parlano di 1
maschio ogni 30mila che chiede la “riconversione”; mentre le femmine che vogliono una
transizione al maschile sono 1 su 100mila.
Un tempo c’erano scuole correttive per
assicurare un rientro nei ruoli. Oggi, come per il mancinismo, il fenomeno è
ritenuto insolito ma non innaturale. Sempre più genitori e medici rifiutano di
imporre forzature, consentendo ai bambini di “vivere lo spazio intermedio”. Ma
resta ancora molto disaccordo sull’opportunità di soffocare o incoraggiare
comportamenti anomali, che appartengono all’esperienza psichica dei singoli.
“L’approccio migliore è non reprimere – conferma Prunas –. Frustrazione,
inadeguatezza o vergogna possono essere fonte di stress e sofferenza ancora
maggiori”.
Certo, è cambiato l’atteggiamento degli
psichiatri, che tendono a non considerare più il “disturbo di identità di
genere” una malattia mentale. “Nel nuovo Manuale Diagnostico e statistico dei
disturbi mentali (il DsmV) – spiega Prunas – è allo studio un cambio di terminologia:
si parlerà di “disforia di genere”: una sofferenza lecita dell’essere umano, di
ignota origine. Una sofferenza soggettiva, più che una patologia. Che
continuerà ad essere portata all’attenzione clinica se dovesse insorgere molto precocemente – prima dei 4 anni –
rivelarsi stabile nel tempo, accompagnata da sintomi di disagio. Per esempio,
un bambino che sogna di risvegliarsi bambina, che rifiuta in maniera categorica
vestiti o attività maschili; o una bambina che fa la pipì solo in piedi”.
Che sia la genetica, o la combinazione
ormonale a influire sulle espressioni della virilità o della femminilità, o che
le aspettative sociali legate al sesso biologico siano tali da influenzare la
percezione di sé e il comportamento, poco importa. Ciò che è assodato è che nel
corso della propria storia ogni individuo costruisce diversi aspetti della
propria identità. E su quella di genere – il modo in cui ciascuno si
percepisce, come maschio e come femmina – confluiscono tensioni diverse: dalle
aspettative dei familiari, all’esperienza di sé, alle istanze biologiche,
stereotipi e pregiudizi del momento storico e culturale.
Una delle più recenti e faticose conquiste
della nostra società è l’aver riconosciuto che non esiste un orientamento
sessuale che si possa considerare patologico. Mentre la possibilità di
determinare la propria identità di genere è una conquista ancora tutta in
divenire. Anche se una nuova generazione di genitori sta imparando a crescere e
capire bambini bloccati a metà.
Penso però che anche imporre la “neutralità”
sia un rischio. Soprattutto quando la realtà non corrisponde e il contesto
agisce in contraddizione. Voi cosa ne pensate?
Certi giorni mettono la gonna, si dipingono
le unghie e giocano con le bambole. Altri si scatenano, lanciano giocattoli e
fingono di essere l’Uomo Ragno.
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