di Graziella Melina
Da
una parte la gioia di aver messo al mondo un bimbo. Dall’altra il dramma di doverlo
lasciare nelle mani di chi potrà prendersene cura. Non sono affatto semplici le
storie delle donne che scelgono di portare avanti la gravidanza, nonostante
tutto. Come ha fatto la mamma di Mario, il piccolino lasciato pochi giorni fa
nella culla della vita della clinica Mangiagalli di Milano, nella speranza che
sia accudito e amato da qualcun altro. E come fanno centinaia di mamme che a
far nascere il proprio bimbo non vogliono per nulla rinunciare: la Società
italiana di neonatologia (Sin) ha stimato che sono circa 400 i bimbi non
riconosciuti dalle mamme biologiche ogni anno.
In
Italia infatti è possibile “lasciare” i propri figli negli ospedali subito dopo
la nascita, mantenendo l’anonimato. La legge lo consente. Ma purtroppo non tutti
lo sanno. In realtà, non esiste un registro nazionale dei parti anonimi. I dati
disponibili sono purtroppo parcellizzati, e riferiti a specifiche realtà locali.
C’è sicuramente «un problema di disinformazione – specifica il presidente della
Sin, Paolo Giliberti – fermo restando che la politica sociale dovrebbe
consentire alle madri di sostenere il proprio figlio. L’infanzia in Italia è la
grande sgradita. Non interessa». Ma soprattutto, o meglio prima di tutto, c’è
un problema culturale: di fronte alle difficoltà delle donne, ormai si dà per
scontato che esista soltanto la via dell’aborto. In questo modo, sottolinea Carlo
Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano «il figlio viene
cancellato mentalmente. Prima ancora che fisicamente. Viene dimenticato, ogni
ricordo è censurato». Tanto è vero che molte mamme che scelgono l’interruzione volontaria
della gravidanza neanche considerano l’idea di far nascere il bimbo per poi
farlo adottare. Quando invece «una mamma che affida il figlio ad altre mani –
ricorda Casini – non cessa di essere mamma»
Viaggio nel fenomeno degli abbandoni alla
nascita. Drammi dell’indigenza, ma anche
prodigi d’amore.
Decine di richieste di adozione per il
piccolo Mario. Che sta bene MILANO. Alla
clinica Mangiagalli di Milano suona ormai ininterrottamente da giorni il
telefono del centralino della direzione sanitaria. E la domanda è sempre la
stessa: «Vorremmo adottare noi il neonato che hanno abbandonato nella culla
della vita: è possibile?». Anche la risposta si ripete, uguale a se stessa: sul
destino del piccolo Mario deciderà il Tribunale dei minori, a tempo debito. E i
giudici di quel tribunale, vanno contattati, per avere informazioni sul da
farsi. Intanto il neonato cresce e si fa forte nella stanze del reparto di
neonatologia dell’ospedale milanese, dove è arrivato a una settimana dalla
nascita, prematura, con un peso di appena un chilo e 700 grammi. La prima fase
dell’intervento di soccorso è ormai terminata, e dalla culla termica – dove è
rimasto per una settimana – il bebè è stato trasferito in reparto, dove viene
coccolato e riempito di attenzioni dall’équipe guidata da Fabio Mosca, che
ormai lo ha “adottato” e che presumibilmente si occuperà del piccolo ancora per
un paio di settimane. Sono stati loro a scegliere di chiamarlo Mario in onore
di santa Maria Goretti, morta bambina. Chissà se alla fine quello resterà il
suo nome.
Avvenire, 17 luglio 2012, pag, 12
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