Classi sempre più affollate,
non sono più garantiti i servizi, tantomeno il tempo pieno
di Maria Novella De Luca
Ma l’Italia è avara, e la scuola
dell’infanzia, al 60% statale, al 40% comunale, è oggi assediata dai tagli
d’organico (10mila insegnanti in meno dal 2009 ad oggi) e dalla povertà dei Comuni
che stretti dal “patto di stabilità” non riescono più a mantenere i loro asili.
Alcuni così straordinari, come quelli di Reggio Emilia, da diventare un vero e
proprio «logo» del made in Italy.
Gli allarmi arrivano da tutte le regioni,
nessuna esclusa. Anche da quelle zone d’eccellenza, Toscana, Emilia, Marche,
Veneto, fino a ieri in cima alle classifiche per gli asili più belli del mondo.
«Eppure è noto che frequentare fin da piccolissimi un nido o una scuola
d’infanzia è fondamentale per lo sviluppo futuro — spiega Susanna Mantovani,
docente di Pedagogia generale all’università Bicocca di Milano — e in Italia
avevamo raggiunto davvero grandi risultati, con la copertura quasi totale dei
bambini in molte regioni. Oggi quello che vedo è una grave caduta della qualità,
le classi sono sempre più affollate, i Comuni non riescono più a garantire i
servizi, tantomeno il tempo pieno, le insegnanti sono esauste, e sugli asili
comunali e statali si è riversata la domanda di quelle famiglie che non possono
più pagare le rette di una scuola privata…».
Così il rischio è che da luoghi di crescita e
di apprendimento, le classi per i più piccoli «si trasformino — aggiunge
Mantovani — in null’altro che parcheggi».
Le liste d’attesa sono ovunque. E l’intero
“sistema infanzia”, cioè la fascia degli 0-6 anni, già profondamente in crisi
per quanto riguarda i nidi, (soltanto l’11% dei bambini sotto i 3 anni riescono
ad accedere alle strutture, quasi tutte nel Centro Nord), rischia di
scomparire. In Campania i bambini senza posto sono 3.500, in Toscana più 4mila,
a Bologna oltre 400, a Milano 650, nelle Marche gli allievi sono 400 in più ma
le sezioni sono state tagliate. Soltanto un pugno d’esempi, che raccontano però
un salto all’indietro di 40 o 50 anni, quando era normale in Italia dormire
davanti ai cancelli delle scuole pubbliche per ottenere l’iscrizione dei figli,
ed era consueto che i bambini approdassero alla prima elementare senza aver
frequentato nemmeno un anno di asilo. Ma è nel Sud che i tagli alla scuola
d’infanzia, oltre ad aver provocato un’emergenza sociale, hanno anche il sapore
di una beffa.
«Migliaia di bambini di tutta la Campania, e
in particolare della provincia di Napoli, nell’anno che verrà non potranno
avere accesso alla scuola» dice con amarezza Angela Cortese, consigliere
regionale del Pd. «E questo vuol dire che resteranno in casa, in famiglie
spesso disagiate, soli davanti alla televisione o più spesso per strada, senza
stimoli e senza controlli. Vanificando così un lavoro duro e tenace per
combattere la dispersione scolastica tra i ragazzi del Sud: perché più è precoce
l’approccio con la scuola, minori sono gli abbandoni nell’adolescenza. E adesso
si torna indietro…». E non importa poi ricordare Don Milani e l’esperienza di
Barbiana per rendersi conto di quanto la scuola, ancor più oggi in un’Italia
impoverita e depressa, possa essere non solo un volano per un buon futuro
scolastico, ma una “diga sociale”. Antidoto alla solitudine, alle troppe
merendine, ad una infanzia senza stimoli, senza libri e senza amici.
Basta ascoltare Gilda, giovane mamma di
Antonio e Benedetto, di 6 e 4 anni, che vive vicino a Napoli, a Varcaturo, e
guida un comitato di genitori in lotta contro la chiusura della loro scuola
dell’infanzia. Ex impiegata in un callcenter, il marito capo magazziniere,
Gilda racconta perché vorrebbe la scuola aperta anche d’estate. «Questi tagli
mi terrorizzano. Con Antonio, il mio primo figlio, sono stata fortunata, sono riuscita
ad inserirlo al nido, e poi, subito, all’asilo. Ha avuto delle maestre
bravissime, era sempre contento, ed è arrivato in prima elementare che già
leggeva e scriveva. Con Benedetto è tutto diverso: adesso che non lavoro più ho
perso anche la priorità per il nido. Ho dovuto tenerlo sempre a casa, qui non
c’è nemmeno un parco, un giardino, le strade sono piene di immondizia, di
siringhe, di tossici, di cani randagi. Ora che scuola è chiusa non sappiamo
davvero dove andare. E per la materna siamo ancora in lista d’attesa».
Se al Nord i posti mancano perché ci sono più
bambini (centomila nascite in più tra il 2006 e il 2011), e i Comuni non hanno più
fondi, al Sud, al contrario, gli organici della scuola sono stati tagliati
perché il numero dei figli decresce di anno in anno. Ma evidentemente il
principio non ha funzionato e non ha tenuto conto, dice ancora Angela Cortese
«della voglia di scuola delle famiglie e dei bambini, una cultura nuova che
oggi viene depressa». Il timore di Lorenzo Campioni, pedagogista emiliano che a
lungo ha lavorato con Loris Malaguzzi, il fondatore degli asili di Reggio
Children, è che i bambini di questi anni difficili «perdano il diritto alla
straordinaria esperienza della scuola dell’infanzia
che tutto il mondo ci
invidia, l’unico campo in cui l’Italia ha raggiunto gli obiettivi europei». E
infatti, ciò che la Ue chiedeva nelle famose “raccomandazioni di Lisbona” al
nostro paese era di arrivare al 60% di occupazione femminile, al 33% di
presenza nei nidi per i piccoli al di sotto dei 3 anni, e al 90% di frequenza
dei bambini trai 3 e i 6 anni negli asili. E quest’ultimo era l’unico traguardo
raggiunto. Fino a ieri.
Lo scenario che Campioni, presidente del
“Gruppo nazionale nidi e scuole d’Infanzia” ipotizza, è quello di una scuola per
i più piccoli, sottoposta agli stessi vincoli che oggi già esistono per i nidi
statali e comunali.
«Non potendo più ammettere tutti, se non si
invertirà la rotta, potranno accedere agli asili pubblici soltanto i meno
abbienti, in un’idea puramente assistenziale del servizio, tutti gli altri si
dovranno rivolgere alle strutture private, e molti magari rinunceranno».
Tornando agli anni in cui il primo accesso all’istruzione avveniva a sei anni.
«L’espediente di molti Comuni — denuncia Francesco Scrima, sindacalista Cisl —
sarà quello di formare classi anche di 30 bambini. Perdendo così ogni
possibilità di un vero lavoro pedagogico».
È come deprimere un patrimonio, enorme, di
esperienze. Dai bambini di «aiutami a fare da solo» di Maria Montessori, ai
piccoli dei «cento linguaggi» di Loris Malaguzzi. Così accade che in Toscana è
stata la Regione a decidere di colmare il “buco” dello Stato, con uno
stanziamento di 6,5 milioni di euro per riuscire a salvare l’asilo di
quattromila bambini. «Nel nostro paese — conclude Francesca Puglisi,
responsabile scuola del Partito Democratico — dalla Gelmini in poi il Miur ha
dimenticato, anzi rimosso, l’infanzia. Facendo regredire la scuola dai 3 ai 5
anni ad una sorta di servizio a “domanda individuale” invece che a istruzione
per tutti, nei fatti una vera e propria scuola dell’obbligo. E togliendo alle
bambine e ai bambini il loro fondamentale diritto di crescere imparando».
NIDI
Da 0 a 3 anni, inserimento dal sesto mese in
poi. Dalle sei alle otto ore al giorno. I bambini giocano, disegnano, socializzano.
La retta: fino a 500 euro al mese.
SEZIONI PRIMAVERA
Possono essere inseriti bambini dai 24 ai 36
mesi, sono pensate come "ponte" tra il nido e l'asilo. Istituite con la
riforma Gelmini, sono criticate e poco diffuse.
SCUOLE INFANZIA
Da 3 a 6 anni. Gli ex asili oggi fanno parte dell'educazione
prescolare. Considerati ormai un vero e proprio percorso scolastico sono frequentati
da oltre il 90% dei bambini.
La repubblica, 28 giugno
2012, pag, 32
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