«Sognano tre figli ma poi ne fanno uno»


Blangiardo: la rinuncia per cause economiche «Rischio collasso demografico: si intervenga»

  Se si chiede a una giovane donna quanti figli vorrebbe nella vita risponde in media almeno due, magari tre (2,18). Ma se si va a vedere quanti figli si fanno la media è di uno, forse due (1,4). «Gli italiani vorrebbero più figli, ma non li fanno. Perché?»: la domanda di Gian Carlo Blangiardo echeggia nel silenzio della sala congressi della Cisl Lombardia riunita ieri a convegno sui tempi del lavoro e della famiglia.
  «I motivi economici – ha spiegato il docente ordinario di Demografia dell’Università degli studi Milano - Bicocca – tra le neomadri incidono nel non volere altri figli per il 20% secondo i dati Istat. Si pensi che questo equivale a 120 mila nascite in gioco che, se potessero aggiungersi alle 560 mila realizzate, porterebbero il totale dei nati non molto lontano dalle 750 mila unità annue che potrebbero garantirci la crescita zero. Da 30 anni infatti le nascite in Italia non garantiscono il ricambio generazionale: questo dato, per ora compensato dall’apporto degli immigrati, rischia di portare al collasso il sistema Paese in cui già i nonni hanno superato i nipoti ma ci si prospetta un sorpasso imminente anche tra bisnonni e pronipoti».
  Insomma rinunciare ai figli e alla maternità è una grave perdita per le famiglie in termini affettivi ma anche economici e per il futuro di una società. «Per ora – continua Blangiardo – la denatalità è compensata dall’apporto degli immigrati. Ma anche loro in cinque anni hanno ridotto il loro tasso di natalità».
  Molte le ragioni di rilevanza sociale che spingono le coppie e le famiglie alla rinvio e poi alla definitiva rinuncia ad avere figli. In primis il fatto che il 40% dei maschi e il 22% delle femmine tra i 30 e i 34 anni vivono ancora in famiglia. Ci si sposa più tardi e la maternità o paternità è continuamente rinviata. «I tempi biologici si stringono e il rinvio – spiega Blangiardo – diventa rinuncia. I giovani restano in famiglia per ragioni economiche e metà dichiara in fondo di starci bene. Le famiglie hanno comunque, al di là delle difficoltà legate alla ricerca attuale del lavoro, la responsabilità di incentivare i giovani al rischio, a lasciare il nido».


  Basta con i rinvii

   Rinviare – spiegano gli esperti – non è più possibile. «Bisogna rimettere al centro la famiglia nelle politiche di conciliazione con il lavoro» osserva Blangiardo. Le proposte non mancano. «Ci vuole un fisco che aiuti le famiglie che conservano la capacità di strutturare i rapporti tra generazioni, sessuali, economici e d’impresa» osserva Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano. «I servizi sono fondamentali – spiega il sociologo –: bisogna accompagnare le famiglie con un bimbo fino a 3 anni e nella cura degli anziani. Altro nodo è agire sulle forme abitative con investimenti in edilizia convenzionata per i giovani. Agire nella conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, rinunciando piuttosto a qualche punto di Pil ma investendo sul futuro».
  Le responsabilità ricadono dunque sulle scelte politiche ma anche su quelle aziendali. «E in questo il sindacato gioca un ruolo fondamentale – spiega Gigi Petteni, segretario generale Cisl Lombardia –: acquista sempre più valore la capacità dei rappresentanti dei lavoratori di confrontarsi con altri attori del sociale. È per questo che abbiamo pensato di inaugurare la nuova sede con una serie di workshop su temi di attualità legati al mondo del lavoro» .

L’Eco di Bergamo, 6 marzo 2012, pag. 29

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