Scelta forzata nel primo anno di vita del bimbo. Le
ragioni: pochi servizi per l’infanzia e troppo cari
di Elena
Catafamo
Ogni giorno due
neomamme lasciano il posto di lavoro nella Bergamasca. Una scelta sofferta dettata
dalla difficoltà a conciliare professione e maternità.
Molte anche le professioniste che decidono
di presentare le dimissioni nel primo anno di vita del figlio. Tra le ragioni
principali la mancanza o i costi eccessivi di servizi per l’infanzia, la
difficoltà di accesso alle formule part time o di telelavoro nelle aziende con
orari più flessibili.
Sono 4.586 le lavoratrici in Lombardia che si
sono dimesse nel 2010 nel primo anno di vita del bambino su 66 mila lavoratrici
in maternità nello stesso anno (erano 65.200 nel 2009). Un dato in lieve
aumento rispetto al 2009 in cui le mamme che lasciano il posto erano 4.571.
Quasi il 10%.
I dati
Nella Bergamasca sono 715 i casi di
dimissioni di neomamme (737 l’anno precedente). Un monitoraggio che riguarda
solo le lavoratrici con un contratto regolare: non si contano infatti le donne che,
nella precarietà, continuano a rinviare la scelta di avere un figlio perché non
possono permetterselo per ragioni di tempo e di spesa. È il dato allarmante
reso noto dal Coordinamento Donne e pari opportunità della Cisl Lombardia a
margine del convegno promosso a Milano su «I crocevia del tempo aperto.
Famiglia, lavoro cupidigia» e promosso dalla Cisl Lombardia nella nuova sede di
via Gerolamo Vida e coordinato dal segretario generale Gigi Petteni. Il nodo
della tutela del diritto alla maternità e al lavoro delle donne è solo la punta
di un iceberg di un sistema Paese che mal concilia in generale il tempo della
famiglia con quello del lavoro. A mandare in crisi l’equilibrio delicato tra
lavoro, donna e famiglia non ci sono poi solo i lieti eventi ma anche la cura
degli anziani magari non autosufficienti.
Rita Brembilla: dati sulle lavoratrici regolari,
è solo la punta dell’iceberg
Insomma se dopodomani una mimosa per la Festa
della donna sarà gradita, le bergamasche vorrebbero essere ricordate tutti i giorni
con impegni più concreti che permettano loro di essere madri e lavoratrici più
garantite. «La crisi ha accentuato le difficoltà delle donne sul lavoro ma non
può essere utilizzata come paravento – spiega Rita Brembilla, responsabile del
Coordinamento donne e pari opportunità della Cisl Lombardia –. Su 468 mila
occupati nella Bergamasca, 184 mila sono donne. Ma il tasso di occupazione
femminile è del 51,7% il più basso della Lombardia che si attesta su una media
del 55,8 contro il 60% di soli due anni fa. Il lavoro per le donne dai 15 ai 64
è sempre più lontano con un divario alto con quello maschile al 75%». Eppure
lavorare in due rappresenta una maggiore sicurezza in tempi di crisi: se si
perde un posto, ce n’è un altro che fa da salva-famiglia.
Scelta
forzata
«Preoccupa poi il dato sulle under 25 –
riflette Brembilla –: il tasso di disoccupazione è passato in Lombardia dal
7,1% del 2009 al 19,8% del 2011. In questo caso però la Bergamasca è prima
della classifica in positivo con una percentuale ferma al 12,2%».
L’occupazione femminile è in calo, la
disoccupazione giovanile in crescita ma il numero di neomamme aumenta. Per
questo suona ancora più amaro che alcune donne, dopo aver coronato il sogno di
essere madri, debbano mollare il lavoro. «Una donna su dieci in Lombardia –
osserva Brembilla – lascia il posto di lavoro regolare durante i primi 12 mesi
di vita del bambino. Si tratta di una scelta forzata: vorrebbero lavorare ma
non ce la fanno o non conviene in termini economici. L’asilo nido costa ancora troppo:
spesso quasi come uno stipendio. Gli orari di lavoro non sono flessibili: il
part time è applicato in Lombardia solo per il 15,5% delle lavoratrici.
Significa una perdita di talenti al femminile».
L’eco Di Bergamo, 6 Marzo 2012, pag, 28
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