L’Italia non adotta più


Oggi sempre meno coppie presentano domanda al tribunale. Non è disamore ma stanchezza: l’iter è diventato troppo costoso e lento, le famiglie vengono scoraggiate, i Paesi stranieri chiudono  le frontiere.

Perché diciamo addio ai bimbi venuti da lontano

di Maria Novella De Luca

  Con i loro centomila arrivi dagli anni Ottanta ad oggi hanno mutato per sempre il volto dell’infanzia italiana. Ragazzini venuti da lontano, spesso con la pelle diversa dai nuovi genitori, portatori di un cambiamento multiculturale e fertile, testimonianze di un altrove qui diventato famiglia. Tremila quattromila adozioni l’anno, numeri record, secondi nel mondo soltanto agli Stati Uniti: per quasi tre decenni in Italia le famiglie adottive sono cresciute senza sosta, aprendosi di volta in volta a situazioni e paesi nuovi, dall’Europa al Sudamerica, dall’Asia all’Africa, dai bambini più piccoli a quelli più grandi. Storie di ieri. Perché oggi le coppie italiane si stanno allontanando dall’adozione: dal 2004 al 2010 le domande presentate ai tribunali per i minori sono calate del 32,6% per l’adozione internazionale e di oltre il 37% dal 2006 al 2010 per l’adozione nazionale  7% dal 2006 al 2010 per l’adozione nazionale.
  Una discesa a picco, i cui effetti si vedranno nei prossimi anni e le cui cause sono ancora tutte da capire, ma che di certo si salda all’attuale deserto demografico del nostro paese, andando ad ingigantire il fenomeno delle culle vuote. Più che disamore sembra stanchezza.
  Nella strada verso l’adozione tutto è diventato troppo difficile, troppo costoso, troppo lento, mentre i tribunali scoraggiano le coppie e i paesi stranieri chiudono le frontiere. Eppure le cifre dell’infanzia abbandonata nel mondo sono ormai spaventose, erano 145 milioni nel 2004 i bambini in stato di “grave indigenza”, secondo le stime dell’Unicef, sono saliti a 163 milioni nel 2009.

A lanciare l’allarme nei mesi scorsi era stato un ente storico, l’Aibi, l’Associazione amici dei bambini, segnalando per la prima volta questa silenziosa inversione di tendenza, quasi l’inizio di un tramonto. «La crisi economica e una cultura negativa nei confronti dell’adozione — spiega Marco Griffini, presidente di Aibi — porta gli aspiranti genitori a non tentare nemmeno più questo percorso, che è stato invece una risorsa formidabile per la demografia italiana, e per quelle migliaia di bambini il cui unico futuro sarebbe stato la povertà, l’abbandono e l’abuso. Un vero ponte d’amore. A torto si dice che le coppie hanno paura di bambini troppo grandi: non è così, almeno a quanto vediamo nel nostro ente, i 6, 7 anni non spaventano chi è davvero motivato. E nemmeno quei problemi di salute, gravi in un paese povero, ma assolutamente risolvibili qui, da cui possono essere affetti questi piccoli che arrivano dalla miseria e dagli orfanotrofi».
  Ciò che scoraggia, questo il pensiero di molti enti, sono i costi, ogni anno più elevati, ma soprattutto la totale incertezza da parte dei paesi stranieri, «verso cui l’Italia non ha fatto negli ultimi anni nessuna politica di cooperazione». I costi sono infatti uno dei capitoli più controversi: adottare un bambino all’estero può costare oggi dai 10 fino a 30mila euro, tra ciò che è dovuto agli enti, il viaggio, la permanenza.
  E poi il ruolo dei tribunali e dei servizi sociali, che oggi sono diventati «fortemente ostativi», ricorda Griffini, verso chi vuole adottare. In effetti basta guardare i numeri dei decreti di idoneità. Ossia quei certificati che devono essere rilasciati dai giudici minorili e che sanciscono, dopo un lungo percorso di incontri e test psicologici, che quella coppia è “idonea” ad adottare un bambino, sia sul territorio nazionale che all’estero. E senza i quali nulla è possibile. Calo del 26% in Veneto, dimezzati in Emilia Romagna, dove i decreti sono passati dagli oltre 400 del 2007 ai 229 del 2010, mentre in Toscana si è avuto un crollo del 13% delle domande di adozione. E si tratta di regioni all’avanguardia per il welfare e i servizi di supporto alla famiglia e storicamente, insieme al Lazio e alla Lombardia, ai primi posti come numero di bambini accolti. 
  «È vero — ammette Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i minori di Roma, ed ex presidente della Commissione adozioni internazionali — oggi la tendenza è quella di limitare nei decreti l’età dei bambini, e di essere ancora più attenti nel valutare i genitori. E questo di certo limita le possibilità visto che dall’adozione internazionale arrivano ragazzini sempre più grandi. Ma la nostra severità è data dal fatto che le “restituzioni” di figli adottivi stanno diventando di anno in anno più numerose, proprio perché i bambini arrivano a 8, 9 anche 10 anni, quasi sempre con situazioni gravi alle spalle e i genitori non reggono e li rifiutano.. Cioè li riportano a noi, che non possiamo fare altro che metterli in un istituto, nella speranza di trovare loro un’altra famiglia adottiva. E non sempre accade». La pagina delle “restituzioni”, ossia dei fallimenti, è l’altra faccia del boom delle adozioni, il lato buio di una storia d’amore, un capitolo quasi sempre censurato. «Da quando dirigo il Tribunale per i minori Roma — aggiunge Cavallo — cioè da due anni e mezzo, ho avuto 10 restituzioni, tra le ultime una bambina indiana di 8 anni e un ragazzino vietnamita quasi adolescente. Troppe. Sintomo di un malessere che non si può ignorare». Un fenomeno nuovo, perché sul numero complessivo delle adozioni.



Il ministro Andrea Riccardi, nuovo presidente della Cai
“Per cambiare rotta bisogna ripartire dalla cooperazione”

  Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ministro per la Cooperazione e l’Integrazione, una grande esperienza nei paesi più poveri del mondo, è da qualche settimana anche il nuovo presidente della Commissione adozioni internazionali, la Cai. Ossia la struttura governativa che gestisce i rapporti con i paesi d’origine dell’adozione e con gli enti autorizzati, che mettono in contatto le famiglie con i bambini. Un organismo fondamentale e deputato a stringere accordi, a vigilare sulle procedure corrette, ma anche ad incentivare solidarietà e aiuti.
  Riccardi, che cosa si può fare per rilanciare l’adozione internazionale?
  «Bisogna ripartire dalla cooperazione. L’Italia com’è noto è agli ultimi posti nell’aiuto ai paesi in via di sviluppo, tema che dovrebbe essere invece uno dei pilastri della politica estera di una nazione. Ma tornare a dialogare, concretamente, con l’Africa, l’America Latina, l’Asia, vocazione naturale per un paese “ponte” tra culture, razze e religioni come il nostro, potrebbe sicuramente dare anche un maggiore impulso alle adozioni internazionali».
  In Italia però, paese da sempre leader nell’accoglienza, oggi c’è un drastico calo di domande. Un forte scoraggiamento. Se però cambiassero le condizioni...
«Siamo di fronte ad un problema complesso, legato, in parte, alla crisi economica, che di certo non aiuta le famiglie a progettare con serenità il proprio futuro. Ma è anche l’età dei bambini a spaventare gli aspiranti genitori, che preferiscono quasi sempre poter accogliere figli piccoli».
  L’età media dei bambini adottati in Italia è oggi di circa sei anni.
  «Sì, ed è la più alta del mondo, da noi arrivano cioè ragazzi sempre più grandi, e questo dimostra per inciso anche la grande generosità delle coppie italiane. Ma questa media è destinata a crescere, man mano   che le condizioni dei paesi in via di sviluppo progrediscono».
  Però ministro la condizione dell’infanzia nel mondo peggiora di anno in anno: oltre 160 milioni di bambini abbandonati.
  «Ci sono alcuni stati nel mondo in cui ci sarebbe una grande disponibilità di bambini da adottare. Ma sono stati che vivono condizioni drammatiche: guerre, carestie, fame, catastrofi naturali, pubblica amministrazione inesistente».
  E questo rende impossibile l’adozione?
  «Diciamo che queste condizioni così instabili, così poco organizzate, rendono estremamente difficile stipulare trattati internazionali e protocolli d’intesa, necessari a proteggere i bambini da adozioni irregolari e forme di sfruttamento».
  Le domande di adozione sono calate, in modo sensibile. Ma sempre più coppie sono disponibili oggi anche ad adottare in Africa, superando vecchi schemi e resistenze sociali.
  «Sono convinto che tutto passi dal rilancio della cooperazione verso questi paesi, l’Africa, l’America Latina, l’Asia. Se torniamo a dialogare, se facciamo azioni concrete, le adozioni internazionali, come dicevo, avranno un nuovo impulso».

la Repubblica, 10 gennaio 2012, pag.43-44

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