«Tu hai assistito al parto?» I nuovi padri e il diritto di dire no

Più che una moda è un obbligo. Ma sono sempre di più quelli che resistono (tra mille imbarazzi)

 di Renato Franco

  Sala parto. Ma anche no. Se sei maschio — e al momento non è ancora previsto che tu partorisca — fino a qualche tempo fa l’unica possibilità di entrare nell’area off limits dell’estrazione neonati era essere il chirurgo o l’anestesista. Ora no. Devi andarci, anche se sei totalmente inutile, anche se ne faresti volentieri a meno, perché assistere al parto non è una moda (quelle passano) ma è diventato un obbligo. Per cui noi poveri maschi che fino a poco tempo fa eravamo ben contenti di star fuori ad aspettare — intubati in imbarazzanti camici verdi monouso, con sovra scarpa azzurro in polipropilene, il massimo dello chic — ora siamo messi alla gogna se non varchiamo l
a soglia. «Hai assistito al parto?» la domanda che già dal tono è  n’affermazione che non ammette altro che un «sì certo» e via a elencare emozioni di una cerimonia splatter con tanto di taglio del cordone ombelicale.
  Rito tribale, altro che progresso, che alcuni fortunati di noi si risparmiano grazie a un benvenuto cesareo (meno per la compagna/consorte, ma non si può avere tutto dalla vita). Salvati dalle statistiche perché in Italia i medici hanno una predilezione per taglio e cucito che arriva quasi al 40% contro il 15% raccomandato dall’Organizzazione mondiale della Sanità.
  Noi che siamo cresciuti ugualmente bene (o male), anche quando abbiamo saputo che il nostro di padre era a mangiare la pizza mentre noi emettevamo la prima della serie infinita di urla che costella l’esistenza («Erano le due, all’una e mezzo lui aveva fame ed è andato a cercarsi una pizzeria», confidò la santa donna). Cosa che se lo dici adesso ti fucilano senza processo, nemmeno quello breve. Noi padri degeneri, che non vogliamo saperne, e ci riconosciamo nel pensiero del nostro filosofo di riferimento (Rino Gattuso) che, a proposito della sua assenza in sala parto (due figli, ha saltato sia l’andata sia il ritorno), non ha avuto bisogno di giustificarsi: «Sono delle cose intime e, visto che con la tua compagna devi poi continuare ad avere una vita... per me, certe cose è meglio non vederle». Ecco appunto. Che male c’è.
Duri e puri come Giusva Napolitano, 41 anni, che vende spazi pubblicitari: «Ormai ci vanno tutti, pure Cassano. Quando stava per nascere mio figlio non ho mai avuto il desiderio di partecipare. È una cosa che riguarda la sfera femminile, è lo spazio della donna, mi sembrerebbe di violare un recinto che non è nostro. Il ruolo di attesa, prima i nove mesi, poi il parto, lo trovo anche poetico. Molto di più che star lì a guardare, o peggio riprendere con la videocamera». Anche Daniele Varvello, affermato dirigente 38enne, ne è rimasto fuori non solo per il cesareo: «Ma per rispetto della privacy femminile. Se il travaglio dura 10 ore, che fai? Stai lì tutto il tempo a veder soffrire la persona che ami, lei stessa potrebbe essere a disagio. È un momento di intimità, di riservatezza, preferisco fare un passo indietro piuttosto che comportarmi da curioso».
   Uno che l’errore l’ha fatto due volte (parole sue) è il 44enne Lorenzo Bollani, imprenditore di successo, due figli, due parti, «il secondo pure lungo»: «Sono stato caldamente pregato di partecipare. È stato come andare a una festa dove non sei stato invitato e non conosci nessuno, sorridi a tutti e eviti accuratamente il buffet se no si capisce che sei un imbucato». Quindi? «Speri che finisca presto. L’abbinamento naturale con il travaglio sono le sigarette. Invece non si può nemmeno fumare».
  Se proprio non riuscite a dire di no, fate riflettere la vostra compagna su questa statistica: un’indagine della Società italiana di diagnosi prenatale è giunta alla conclusione che se il padre assiste alla nascita del primogenito aumentano le probabilità che i neogenitori arrivino alla separazione.
  Noi tribù dei «no parti» ci appelliamo a voi: voi talebane della condivisione e pasdaran della gravidanza stile Grande Fratello: se cogliete un minimo di perplessità, ma anche se non lo cogliete, lasciate stare. Non siamo peggio degli altri. 

Corriere della Sera, 30 Aprile 2011, pag. 47

1 commento:

  1. Questa lettera è davvero triste in alcuni punti... Se è pur vero che potrebbe essere in parte condivisibile (il parto come momento "femminile"), è anche vero che ricalca stereotipi tremendi del "maschio" e del rapporto di coppia.
    Mio marito era alquanto titubante la prima volta, io non gli ho mai imposto nulla, gli ho chiesto di essere lui ad accompagnarmi in ospedale e poi avrebbe deciso il da farsi al momento. Una volta in ospedale gli è venuto naturale stare lì con me, aiutarmi contando le contrazioni, tenendomi compagnia. Da lì al venire in sala parto è stato un attimo... l'ostetrica, poi, l'ha chiamato più di una volta a "vedere la testa che esce"... Non pensavo l'avrebbe fatto e invece... e il nostro rapporto nella sfera intima non ne ha minimamente risentito!
    E poi chi avrei dovuto chiamare? O avrei dovuto rimanere sola?
    In questi anni la coppia è più che mai fondamentale, non c'è più la famiglia allargata come una volta e uomo e donna devono sostenersi a vicenda.
    Questo il mio parere, poi ognuno è libero di fare ciò che crede, ma il parto è qualcosa di più di un momento splatter... per la mamma quanto per il papà.
    Ah... l'ultimo parto l'abbiamo vissuto in casa... e il papà è stato ancora più partecipe!

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