L’Italia sta perdendo le mamme

Calano ancora le nascite: la popolazione aumenta grazie agli immigrati e ai loro figli  

di Raffaello Masci

  Che eravamo un Paese di vecchi si sapeva da tempo. La novità è che siamo un Paese di vecchissimi, con gli ultracentenari triplicati in 10 anni. E siamo anche un Paese sempre più popolato (60 milioni e 600 mila abitanti) da stranieri (più 328 mila rispetto all’anno scorso) che da italiani ( meno 67 mila). Insomma, gli immigrati regolari (e poi ci sono tutti gli altri) sono 4 milioni e mezzo, di questi solo i romeni sono un milione e gli albanesi un ulteriore mezzo milione, seguiti da marocchini, filippini, cinesi e via  elencando. Sempre di più e sempre più prolifici.  Che ci piaccia o no, beninteso.
  La rilevazione Istat degli indicatori demografici 2010 questo dice. Quanto al futuro  (anche qui, che ci piaccia o meno) i cittadini tricolore saranno sempre meno e quelli di altre provenienze sempre di più. E questo per due fattori precisi e concomitanti:   il  primo è che le donne italiane continuano a fare pochissimi figli, in media 1,4 a donna (nel 2009 eravamo a 1,41, nel 2008 1,42), mentre quelle straniere ne fanno 2,3. Il secondo fattore è l’aumento dei vecchi che postula una domanda sempre crescente di badanti. Gli ultra sessantacinquenni sono oltre un quinto della popolazione (20,3%) e negli ultimi 10 anni sono aumentati di 180 mila unità l’anno (1,8 milioni in totale).
  Nello stesso periodo – tanto per fare un paragone - gli under 14 sono cresciuti di appena 348 mila unità in totale portando la quota al 14,3%. Non solo: si vive molto, ma molto di più. L’aspettativa di vita per un uomo è oltre i 79 anni, e per una donna di oltre 84, con una presenza sempre crescente di ultracentenari, che hanno sfondato quota 16 mila e sono triplicati in 10 anni.         
  Questa è l’Italia della demografia. Ma con differenze enormi da un’area all’altra  del Paese che inducono ad una lettura anche politica di queste rilevazioni statistiche. Per esempio: è vero che di figli se ne fanno pochi, ma le grandi  madri mediterranee non sono più le Filumene Marturano di Napoli e del Sud, quanto, semmai, le signore dabbene del Nord. Se il tasso di fecondità è - si diceva - dell’ 1,4, a superare questa soglia ci sono le donne del Trentino con l’1,58, quelle della Val d’Aosta con l’1,54, della Lombardia con l’1,48, dell’Emilia con l’1,46 e del Friuli con l’1,43. In sostanza: i figli si fanno non dove c’è - retoricamente - «una maggiore apertura alla vita», ma dove i servizi sociali sono più efficienti e le donne si sentono più sostenute e dove si aprono maggiori possibilità di lavoro.
  Nel 2010 sono nati 557 mila bambini, 12.200  in meno rispetto all’anno precedente. Una tendenza che fa dire all’Istat che «sembra essersi conclusa per le italiane la fase di recupero cui si era assistito nello scorso decennio». Per avere un numero di nascite inferiore a quello del 2010 occorre tornare al 2005, quando furono 554 mila. La riduzione nel 2010 rispetto al 2009 (-2,1%) risulta generalizzata su scala territoriale e in questo quadro si fa sempre più importante il contributo alla natalità delle straniere: si stima, infatti, che quest’anno oltre 104 mila nascite (18,8% del totale) siano attribuibili a madri straniere (erano 35 mila nel 2000, pari al 6,4%e 103 mila nel 2008 pari al 18,1%), di cui il 4,8%con partner italiano.
  Non solo. Le regioni più sviluppate sono anche quelle che riescono a garantire migliori condizioni di vita per gli anziani, tant’è che tra quelle in cui si è più longevi continuano ad apparire il Trentino, la Toscana, il Veneto, la Lombardia.
  L’Istat rileva anche un altro fattore di disagio nel Mezzogiorno, semmai ce ne fosse bisogno: è ricominciata la migrazione interna verso il Nord, con un travaso di quasi il 2 per mille della popolazione da Sud verso il Centro e il Nord. Ancora una volta ad esercitare una particolare attrazione sono il Trentino – che si configura come una California d’Italia – e l’Emilia, insieme al Veneto che ha la fama di essere la regione più ostile nei confronti di chi viene da fuori, ma che risulta - invece - tra le aree dove l’integrazione è più riuscita.


In crisi la famiglia
Uno su tre vive solo

di Raffaello Masci

  La famiglia, la famiglia, la famiglia. Ma quale? Quella delle pubblicità, con mamma, papà, bimbi, cane, gatto e canarino, è diventata minoritaria. Su 100 famiglie - dice sempre l’Istat - il 55,4 ha al massimo due componenti. Ma non è tutto: il 28,1% ne ha uno solo, una realtà diffusissima al Centro- Nord: 37% in Liguria, 36% in Valle d’Aosta, 33% nel Lazio, 32% in Piemonte, eccetera. Insomma, in molte zone del Paese una persona su tre vive da sola. O almeno così è per la legge, perché dentro questo fenomeno ci può essere di tutto: il 49% delle famiglie di una persona - dice l’Istat - è costituito da ultra 65 anni, il che può far pensare a persone vedove. Ma tutti gli altri? Possono essere single, coppie di fatto, separati, gay, nubili e celibi.
  «La novità in ciò che rileva l’Istat - dice Carla Collicelli, vicedirettore del Censis - non sono i fenomeni in sé, come l’aumento degli stranieri, la loro maggiore fecondità e il moltiplicarsi delle famiglie di fatto, quanto l’accelerazione esponenziale di tutto questo, e soprattutto la carenza di risposte politiche». E qui l’analisi scende nel dettaglio: «Da una parte si osservano scelte di forte contenimento dell’immigrazione, legate a paure diffuse in tutto l’Occidente,mentre - dall’altra - c’è una esigenza sempre crescente di persone da dedicare al lavoro di cura che, quindi devono essere accolte e integrate». Il risultato è che dove maggiore è la  xenofobia latente spesso è anche maggiore l’integrazione.
  Quanto alle nuove famiglie, «l’emergere di modelli diversi, è un fattore che il Censis sta osservando da anni e che richiede un cambiamento nella definizione giuridica ma soprattutto di impostazione del welfare, con un’attenzione specifica ai bambini, comunque e ovunque nati, e alle persone anziane e non autosufficienti». Con un occhio anche ad un altro fenomeno di marginalità che sta crescendo: il disagio dei giovani adulti. Quasi un 35enne su tre (30,1) vive ancora con mamma e papà e, se dichiara di non avere «problemi di libertà», ne ha e di grandi sul piano dell’autonomia. Il 41%, infatti, dichiara di vivere in casa per ragioni strettamente economiche: ha un reddito basso e precario che non gli consente di compiere l’azzardo di abbandonare il nido. I nonni di questi ragazzi stanno molto meglio: hanno un futuro forse più breve ma certamente più garantito.

La Stampa,  25 gennaio 2011, pag.12

1 commento:

  1. ciao sono vera una " mega mamma " e vi spiego perchè : sono del nord e nonostante questo da folle dopo essermi sposata ho pensato bene di riempire la mia triste e annoiata vita con 4 figli , un cane , 3 gatti , 2 acquari , un papagallo , un marito ( naturalmente ) e per non farmi mancare proprio niente anche 2 genitori con qualche problemuccio di salute . Che ne dite ? faccio parte anch'io di tutti questi orribili numeri istat oppure no ? spero proprio di no , perchè essere mamma è la cosa più bella e emozionante che ci sia e ne vale davvero la pena . La famiglia e davvero un grande amore che va coltivato con tanta cura è vero ci vuole pazienza e sacrifici ma è sempre splendido il risultato . Io amo tantissimo la mia famiglia , non saprei proprio cosa fare senza tutti loro riempiono il mio cuore , la mia anima , insomma la mia vita!!!! che ci puo essere di meglio ? io dico , assolutamente niente . la famiglia è il mio meglio !!!! per me sarebbe assurdo starmene da sola non saprei proprio cosa fare . Quindi il mio messaggio per tutti è assolutamente fate figli e sopratutto una vostra famiglia ........ ciao a tutti , vera .

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