L’allarme inglese sulle nuove generazioni “Non sanno più usare il proprio corpo
di Andrea Amalaguti
La forza nelle braccia è diminuita del 26% se nel “98 un bambino su 20 non riusciva a stare appeso oggi non ci riesce uno su 10.
La postura
La capacità di restare seduti in posizione eretta dei nati nel 2000 è calata del 27% il 95% sono più lenti anche nella corsa
Il grasso
Dato che l’indice di massa corporea è rimasto invariato, significa che ed è aumentato l’adipe
Quando il professor Gavin Sandercock, dell’Università dell’Essex, ha chiesto al piccolo Richard Maloy di attaccarsi alla sbarra per vedere quanti secondi riusciva a stare appeso, quello, nove anni, lo ha guardato rabbioso, gli ha mollato un calcio ed è scappato via. «Manco morto».
Sandercock lo ha salutato con un sorriso sbilenco e si è massaggiato la caviglia come se nulla fosse, poi ha preso la sua cartella d’appunti e l’ha aggiornata a penna: «Su trecento ragazzini testati trenta non sono stati in grado di reggere il proprio peso. E trenta se la sono dati a gambe infuriati». Trenta su trecento. Più trenta fuggitivi bizzosi. Il triplo di quelli che avevano mollato in un esperimento analogo fatto nel 1998. «Che succede alle nuove generazioni? ». Senza nascondere l’ovvia retorica implicita nella domanda, il Professore, leader di un gruppo di scienziati inglesi che ha pubblicato lo studio sulla rivista medica «Acta Paediatrica», si è dato in fretta una risposta. «Semplice. Sono più deboli. Hanno meno muscoli, meno volontà e più grasso addosso. Non è un’ipotesi. E’ un fatto ». E si è sorpreso di averlo detto ad alta voce. Ma è certo quello che ha pensato per tutto il tempo della ricerca: la teoria dell’involuzione.
Li chiamano i bambini-divano, under dieci smidollati e ipotonici, cresciuti con i videogiochi e con Facebook, ipnotizzati dalla televisione, sequestrati dai computer, abituati a pensare in 3D ma incapaci di arrampicarsi su un albero e terrorizzati dall’idea di compiere esercizi fisici che alla fine dello scorso millennio i loro coetanei avrebbero fatto senza battere ciglio. Reggersi a una fune o afferrare un pallone al volo. «Beh, tutto qui?».
I numeri emersi dal confronto di due gruppi di oltre 300 ragazzi studiati a dieci anni di distanza sono imbarazzanti. La capacità di restare seduti in posizione eretta dei bambini nati nel Duemila è calata del 27%, la forza nelle loro braccia del 26% e la capacità di afferrare un oggetto del 7%. «Non fanno più quelle attività comuni che si facevano fino a pochi anni fa. Semplice esercizio fisico che consentiva a chiunque di alzare e sostenere il proprio peso corporeo. Per i bambini di dieci anni di oggi è un’impresa titanica». E’ il caso di Matthew Bryanson. Quando è crollato come un pupazzo dopo essere rimasto appeso sette secondi ad una sbarra a due metri da terra si è messo a piangere disperato. «Gli ci è voluto un minuto per rialzarsi in piedi. Non aveva mai fatto uno sforzo in vita sua». Sembrava esausto, come se fosse stato inseguito da un coguaro. Inutile dire che i test di corsa sono andati allo stesso modo. «Abbiamo valutato la loro velocità su una distanza di 20 metri. Il 95% è andato più piano dei coetanei di dieci anni fa». Un disastro.
Eppure, per evitare che il problema della forma fisica fosse confuso con quello dell’obesità, i ricercatori dell’Essex erano andati a scegliere le loro piccole cavie a Chelmsford, una delle cittadine più ricche del Regno Unito, quella con la media di scolari sovrappeso più bassa del Paese. Li hanno misurati e messi sulla bilancia e si sono accorti che l’indice di massa corporea era uguale a quello dei coetanei di fine secolo. «Sembrava un buon punto di partenza. In verità dopo i test abbiamo capito che era un altro segnale inquietante. Perché se la massa corporea è identica e i muscoli sono diminuiti, significa che è aumentato il grasso». Preoccupato, Sandercock ha preso i dati e li ha consegnati al ministero dell’educazione. «Non sarebbe il caso di pensare alla forma dei giovani nelle scuole? ». «Prima dobbiamo ridurre il numero degli obesi», hanno risposto, senza rendersi conto di avere appena ricevuto il ritratto di una generazione destinata a squagliarsi come chi scivola su un fiume di lava con un canotto. Grassi, pigri, sfatti, ma perfetti per un mondo virtuale.
La pediatra: “Ascoltate di più vostro figlio”
di Maurizio Ternavasio
La grande sfida è il sostegno alla genitorialità: spesso padri e madri sono fragili e non sanno cosa fare, sembra che non abbiano valori e non sentano le responsabilità. In realtà c’è un vuoto che li avvolge».Lia Lidia Luzzatto, medico torinese, fa parte dell’Associazione Culturale Pediatri Italiani. «Una ricerca effettuata con l’aiuto di sociologi ha dimostrato che rispetto ad un tempo i genitori hanno maggiori conoscenze scientifiche, ma meno dimestichezza con le pratiche comuni che erano d’appannaggio della generazione precedente».
Il problema non è solo riconducibile al sopravvento di televisione e computer. «I genitori non sanno più dire di no e lasciano troppo spesso i figli da soli perché sopraffatti dalla quotidianità - spiega - Oppure li comperano” con i giochi, ma con loro parlano poco e li ascoltano ancor meno di quanto dovrebbero: l’esperienza insegna che i bambini sono sin da subito persone a tutti gli effetti, anche se “piccole”, in grado di esprimere concetti fondamentali che sfuggono a chi non dedica loro la giusta attenzione».
Il tempo è la variabile più critica che entra in gioco per i fanciulli delle elementari. «I problemi di lavoro esistono per tutti. Però bisogna trovare le occasioni per “frequentare” il proprio bambino in maniera divertente e per conoscersi reciprocamente più a fondo. Una play station non ti ascolta, al massimo offre impulsi luminosi».
Ulteriori stimoli sono offerti dalle attività all’aria aperta, «che hanno anche il vantaggio di combattere il sovrappeso e l’obesità. Andare a scuola a piedi, giocare a pallone nei prati, passeggiare senza aver paura dell’orco cattivo è indispensabile. Certo, le amministrazioni cittadine devono però fare la loro parte mettendo disposizione maggiori spazi come avviene in altri Paesi europei». Stili di vita per i quali i pediatri si battono da anni, «anche per evitare che i bambini mangino davanti al video: così rischiano di perdere pure il senso della sazietà».
Senza dimenticare l’importanza della lettura e della musica. «“Nati per leggere” e “Nati per la musica” sono progetti partoriti negli Usa una decina di anni fa: un libro, come anche una canzone, è un fondamentale mezzo di comunicazione e di condivisione affettiva a partire dai 3 mesi».
Insomma , l’importante è «toccare tutte le corde che possono risultare piacevoli per i più piccoli. Che se invece hanno davanti agli occhi un modello costituito solo dal pc e dai videogiochi, difficilmente con il tempo si dedicheranno ad altro. Anche se non tutto dipende dalla famiglia, ma pure dalla scuola dai modelli culturali con cui entrano in contatto».
La Repubblica, 24 maggio 2011, pag.23
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