Tutti all’orcanotrofio, le
frasi ricreate dai piccoli
di Stefano Bartezzaghi
Il grido risuonò nel cortile: «Va’, fanciullo».
Non era l’esortazione di un educatore di altri tempi. No. Era il modo in cui un
bambino ripeteva ciò che era riuscito a capire, fino a quel momento, del più
diffuso insulto nazionale. Di fronte a ciò che non capiscono interamente,
infatti, i bambini non si rassegnano e riadattano i frammenti a disposizione in
una costruzione che possa apparire sensata. Agli adulti questo fa sempre molto
ridere (ma chissà quanto ridono manganelliani dei ulteriori delle nostre più
abborracciate cosmogonie e teologie).
Affascinante, temibile e potente:
“L’incomprensibile” è il tema della settima edizione del Festival
internazionale Tutte storie, che si svolge a Cagliari e in altri quattordici
comuni sardi da oggi al 10 ottobre (il nutritissimo programma si legge nel sito
www.tuttestorie.it).
Dedicato alla letteratura per ragazzi, il festival ha per presidente David
Grossman, che anni fa lo aveva scelto per il suo ritorno alla scena pubblica,
dopo il lutto per la morte del figlio in guerra.
Cos’è davvero incomprensibile, per i bambini?
Se lo è chiesto, in particolare, uno degli ideatori del festival, Bruno
Tognolini. Poeta e scrittore, Tognolini ha acquisito grandi meriti presso
l’infanzia, scrivendo poesie che sono formule magiche contro i malanni («Vola
libellula, vola parola / Portati via questo mal di gola / Cavalo fuori dalla
mia bocca / Appeso alla filastrocca») o per fare passare la rabbia («Rabbia,
rabbia / Fiato di sabbia / Sangue di gioco / Fiore di fuoco / Fiammeggia al
sole / Consuma tutto / Lasciami il cuore / Pulito e asciutto»).
Proprio per la sua esperta fiducia nei
poteri del linguaggio, Tognolini sa che il guaio incomincia quando le
parole
non servono più a spiegarci il mistero ma lo producono, essendo incomprensibili
esse stesse. In questo caso, i bambini rispondono prontamente e inventano
quelle che Tognolini chiama «parole-chimera», e che in vista del festival ha
radunato in buon numero, grazie alla complicità di amici e informatori in rete.
Sono versioni maneggevoli di parole misteriose.
Una bambina chiama il secondo episodio della
saga di Guerre stellari «L’Impero col
Pisciancòra» – forse un mitico gigante fanta-urinario, come Gulliver a
Lilliput. Un altro va in vacanza grazie ai buoni uffici di un bestione
addomesticato, il Draghetto di Sardegna. Un’altra minacciava la sorella: se non
avesse fatto la brava sarebbe venuto un orco a portarla nel locale
Orcanotrofio. A volte i grandi si esprimono in un modo incomprensibile perché
parlano «in dialetto» (ma altrove un bambino era convinto che si trattasse
dell’«indianetto», un piccolo genio dall’idioma forestiero). Molto spesso le
parole-chimera sono formule che derivano da ragionamenti pieni di buon senso.
«Il vestito mi va bene, le scarpe mi vabenano»: lo ha detto un bambino alla
mamma, che lo riferisce nel forum aperto da Tognolini. Sono costruzioni
analogiche che possono portare a correggere il lessico adulto: quando servirà a
volare lo chiameremo volante, ma fino a quel momento è più giusto chiamarlo
guidante.
Fra gli autori di queste divertite denunce
(che poi sono spesso autodenunce), ci sono anche scrittrici, come Michela
Murgia (che ha parlato di un moderno «maniglione antipatico») e Bianca
Pitzorno, alle prese con la complessa sciarada che partendo dal difficile lemma
«suffragi» forse allude a anime cinesi nell’Aldilà, menzionate nel l’invito
all’elemosina: “Su fra gialle anime del Purgatorio”. Proprio la preghiera è uno
dei campi più fertili. Ovviamente questo avveniva soprattutto quando le preghiere
erano tutte in latino e proprio un grande sardo, Antonio Gramsci, parlava di
quella Donna Bisodia che era entrata nel folklore verbale come piissima
beghina, essendo citata nel Pater Noster (dove infatti si dice: «dona nobis
hodie»). Con il passaggio all’italiano sono stati sciolti molti nodi, ma non
tutti se qualcuno ha registrato un meraviglioso – e quanto pragmatico – «Dacci
oggi il nostro pane, e poi vediamo».
Rime, rassomiglianze di parole, ascolti
approssimativi, aggiustamenti. Gesù diventa un personaggio certo strano ma
amichevole nella preghiera «Gesù Mimetto nelle tue mani», mentre il canto
dell’Adeste Fideles invita tutti in un certo paesello sardo: «Venite a
Doremus». Una garbata correzione scansa il pensiero poco rassicurante della «nostra
morte» facendo terminare l’Ave Maria con un più consono: «Adesso e nell’ora
della buonanotte». Perché poi una crea tura che non ha nulla di cui pentirsi
non dovrebbe ritrarsi con più fantasia e chiedere dunque alla Madonna: «Prega
per noi beccatori»? Sono problemi teologici a volte anche complessi, calati nel
mondo e nel linguaggio della quotidianità e resi così meglio comprensibili.
«Invano», per un bambino, è una parola vuota. Non è forse molto più sensato
raccomandare di «non nominare il nome di Dio in bagno»
“Beccatori” invece di “peccatori”, “indianetto” al posto di “in
dialetto”
Gli
adulti sono incomprensibili e i ragazzini inventano formule nuove per
“tradurli”
TUTTESTORIE
A
Cagliari il Festival internazionale Tuttestorie, oltre trecento appuntamenti
tra incontri, spettacoli e mostre.
La
Repubblica, 14 ottobre 2012, pag, 47
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