Ridurre lo stress materno fa bene anche al nascituro
La
madre costituisce per il figlio il 50% del suo patrimonio genetico, ma durante
la gravidanza è il 100% del suo ambiente
di Daniela Natali
Che esista la depressione
post partum è noto, ma che depressione, ansia e stress possano colpire, e
duramente, in gravidanza, in quella che definiamo «dolce attesa», è più
inaspettato. E come queste patologie ricadono sul bambino già nato, così
ricadono sul bambino che ancora deve nascere. «Dobbiamo riflettere su questi temi
non per fare del terrorismo né, tanto meno, per incolpare le donne, bensì per
capire che questi disturbi non vanno sottovalutati, all’insegna del "tanto
passerà", ma curati. E curarli è possibile anche in gravidanza — chiarisce
Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze del
Fatebenefratelli di Milano —. Le donne che nel periodo prenatale hanno un
assetto psicologico alterato hanno più probabilità di aumentare, anziché di
diminuire, le "dosi" di fumo, di nutrirsi male e, di conseguenza, di aumentare
troppo, o troppo poco, di peso. Inoltre, stress e ansia durante l’attesa sono
associati a un rischio dalle due, alle tre volte maggiore di sviluppare
disturbi dell'umore nel periodo postnatale».
Il futuro bambino come risente di tutto
questo? «La madre costituisce per il figlio il 50% del suo patrimonio genetico,
ma durante la gravidanza è il 100% del suo ambiente — prosegue Mencacci —. E in
quell’ambiente il bambino forma il suo sistema nervoso centrale. È facile
capire che, se l’assetto psicologico della mamma è alterato, questo influenza
lo sviluppo del nascituro. Secondo la fetal origin hypotesis, le esposizioni
"ambientali" in epoca prenatale, e tra queste anche lo stress e le
diverse forme di psicopatologia materna, possono avere effetti durante tutto il
corso della vita del bambino».
Le difficoltà psicologiche della madre in
gravidanza quali «sintomi» immediati possono causare nel bambino?
«Si possono tradurre — risponde Mencacci — in
marcata irritabilità, pianto eccessivo, mimica poco sorridente, ridotta
vocalizzazione, coliche più frequenti, aumento dei tempi di addormentamento,
alterata reattività. Durante l'età dello sviluppo si possono presentare perfino
ritardo dello sviluppo motorio e mentale, ipereattività, problemi
comportamentali, cognitivi, dell’attenzione, disturbi d'ansia e di regolazione
emotiva».
La relazione madre-figlio, una volta che il
bimbo è nato, come risente dello stato psicologico della mamma?
«È probabile che già la
donna durante la gestazione viva negativamente la propria maternità, si senta
in difficoltà nell’adattarsi al proprio ruolo di donna-madre e nel rispondere
alle richieste implicite nel suo ruolo. E così il neonato rischia di ricevere scarse
cure, di essere meno "guardato" o preso in braccio. Questo può
comportare un aumento del rischio di sviluppare uno scarso, se non negativo,
legame di attaccamento, fondamentale per il corretto sviluppo emotivo del
bambino» spiega lo psichiatra.
Visto il quadro preoccupante, sarebbe certo
meglio riuscire ad affrontare i problemi psicologici prima di programmare un
figlio, ma non sempre si riesce a farlo. E, allora, si può ricorrere a farmaci
senza mettere ancor più in pericolo la salute del bambino?
«Gli interventi (vedi box)
sono psicologici, — dice Mencacci— ma nei casi più gravi, c’è anche la
possibilità di utilizzare terapie farmacologiche alla luce del fatto che il
mancato trattamento ha conseguenze sul benessere fisico e mentale della donna e
del feto bambino peggiori di quelle che si temono dai farmaci».
Corriere della Sera, 22
Aprile 2012, pag 53
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