Senti chi parla: bimbi e cani si capiscono

Dai 6 mesi ai 10 anni, i piccoli sanno «tradurre» il modo di abbaiare. Poi perdono questa capacità

di Daniela Uva

  Le capacità soprannaturali e i bambini prodigio non c’entrano nulla. E neanche la fervida immaginazione propria della più tenera età. Quando un bimbo racconta di parlare con il proprio cane, con ogni probabilità riesce a farlo per davvero. Secondo studi condotti in Gran Bretagna e Ungheria, gli esseri umani sono in grado di comunicare con i propri amici a quattro zampe sin da quando sono in fasce. Da sei mesi a dieci anni di età, i bambini riescono a percepire ogni più piccola variazione nel modo di abbaiare, e riescono ad associare il più impercettibile cambiamento a una determinata espressione del volto. Insomma, comunicano con i loro amici a quattro zampe e interagiscono con loro comprendendosi alla perfezione. Ma soltanto fino a dieci anni. Perché superato quel traguardo perdono per sempre questo dono così particolare. Il cinema e l’animazione hanno spesso immaginato un mondo in cui esseri umani e cani comunicano e si scambiano opinioni come veri amici.
  Il  Dottor Doolitle, portato sul grande schermo dal comico Eddie Murpy, si faceva raccontare dai suoi pazienti animali di cosa soffrissero. E ci ha fatto sorridere con le sue diagnosi improbabili. Il bastardino Fluke ha commosso mezzo mondo con il rapporto speciale costruito con il suo padroncino, con il quale parlava come fosse un compagno di scuola. Adesso è la scienza a permettere alla realtà di superare la fantasia. Un gruppo di scienziati della Eotvos Lorand University di Budapestha scoperto che gli esseri umani, specialmente in tenera età, decifrano l’abbaio dei cani. Dal tipo di suono generato dall’animale, i bambini non soltanto distinguono situazioni di paura e rabbia le più facili da comprendere ma anche sfumature molto più sottili. Una volta superata l’età più tenera, però, l’alchimia fra uomini e animali si perde per sempre. Per arrivare a questi risultati gli scienziati hanno condotto alcuni test su gruppi di bambini di sei, otto e dieci anni. E anche su gruppi di adulti. A ognuno hanno fatto ascoltare alcune registrazioni nelle quali cani diversi abbaia vano in contesti differenti. I ricercatori hanno poi chiesto alle «cavie» di associare ogni suono a una determinata espressione del volto umano. Soltanto i bimbi fino a 10 anni sono riusciti a capire cosa stessero comunicando gli animali. «Siamo in grado di provare che gli esseri umani sono capaci di comunicare con gli animali e di comprenderei sentimenti di base più profondi dei cani - spiegano Peter Pongracze Csaba Molnàr i responsabili della ricerca -. Ma soltanto in tenera età e sulla base di segnali acustici che riescono a decifrare alla perfezione». Non si tratta di vere e proprie chiacchierate, certo. Ma i test dimostrano che quel rapporto speciale che unisce il cagnolino di casa con i propri padroncini non è casuale. Ma si basa su una capacità, naturale quanto determinata nel tempo, di capirsi. Reciprocamente. «Questa scoperta apre nuove prospettive nella comprensione della capacità dell’uomo di comunicare con gli animali -proseguono i ricercatori . Si tratta di uno strumento indispensabile per approfondire il comportamento animale ». Uno studio simile è stato condotto anche dai ricercatori della Young University di Bringham, in Gran Bretagna. Anche in questo caso gli studiosi hanno dimostrato che soltanto i bambini riescono a entrare davvero in contatto coni cani, e di comprenderne alla perfezione il linguaggio verbale. Ma naturalmente anche Fido non è da meno. Una ricerca pubblicata sulla rivista Science ha, infatti, dimostrato che i cani che vivono in casa, astretto con tatto con i propri padroni, sono in grado di capire la maggior parte delle parole usate dagli esseri umani. Possiedono un vocabolario che può essere paragonato a quello di animali considerati più evoluti, come le scimmie, i delfini e i pappagalli ammaestrati. Non tutti sono come il Collie Rico, che riconosce alla perfezione più di 200 vocaboli e ogni giorno ne impara di nuovi. Ma tutti possono «parlare coni propri padroncini». Almeno per un po’.

il Giornale, 15 Ottobre 2011, pag. 20

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