Il gioco del padre

In fondo i padri l’hanno sempre saputo: giocare con i figli, piccoli e non solo, fa davvero bene. Al cuore, alla mente, alla serenità, al buonumore. E le cose funzionano ancora meglio se le madri ne restano fuori, e il “Fattore P”, dove P sta per “Papà”, si può esprimere in tutta la sua unicità. Magari in modo goffo, non esattamente compiuto, forse maldestro: non importa, quel contatto fa bene, aiuta a crescere. Questo è almeno quanto affermano le ultime ricerche sul cosiddetto “F-F” cioè Father-Factor, dove tra i tanti ruoli
dei padri “nuovi” (quelli ormai noti che accudiscono i figli, condividono fatiche e felicità della famiglia e non si vergognano della tenerezza )adesso i riflettori sono puntati sul gioco. Nel senso più largo del termine però: il gioco come tempo libero, spazio senza obblighi, libertà di essere, condivisione di passioni tra adulti e ragazzi. Con quella “intonazione” maschile di modi e invenzioni, così la definisce lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet, che è diversa (né migliore né peggiore) di quella femminile, ma considerata oggi altrettanto fondamentale.

  “Lasciate che i padri facciano i padri” è infatti il titolo di un’inchiesta de lWall Street Journal che riporta una serie di recenti studi americani sulla paternità,dove all’interno del “Fattore P” il tempo del gioco viene definito
“fondamentale allo sviluppo” del bambino, in termini di autostima,abilità, coraggio. Dovrebbe essere naturale, evidente, invece si tratta di una dimensione di vita che i maschi hanno conquistato soltanto di recente, come il diritto alla tenerezza o la scoperta che l’accudimento di un bambino può anche essere una bella avventura. E nella classifica “giochiamo con papà” sono lo sport e tutto ciò che è movimento ad avere la meglio, e poi costruzioni, sfide, scherzi,ma anche lettura e battaglie di playstation e video game, assai osteggiate dalle madri.

  «Nel racconto di molti bambini e bambine i padri sono spesso assenti, presi da se stessi, distratti, lavorano troppe ore», spiega KathrynKerns, docente di Psicologia alla “Kent State university” in Ohio, che ha dedicato diversi studi alla relazione tra i giovani delle ultime generazioni e le nuove paternità. «Eppure questi stessi imperfetti genitori maschi salvano oggi, a differenza di un tempo, lo spazio di gioco coni figli. E i ragazzi negli incontri lo sottolineano sempre». Facile, si potrebbe commentare,pensando alla storica asimmetria mai colmata sulla condivisione del lavoro domestico tra maschi e femmine.

Eppure ci dice con chiarezza qual è il “Fattore P” nella famiglia che cambia. Del resto è proprio nello spazio “libero” che i padri contemporanei (“genitore ludico” è la nuova formula) hanno trovato la loro migliore espressione, almeno a giudicare dai dati Istat, ormai un po’ datati 2010) ma gli un i ci disponibili sulla“divisione dei ruoli nelle coppie”. Dove emerge che nel tempo totale dedicato dai padri ai figli, cioè un’ora e 24 minuti al giorno, il 44% è riservato alle “attività ludiche”, contro il 28% del tempo delle madri, obbligate a dedicare i loro spazi familiari anche al lavoro domestico. «La strategia dei padri di oggi — aggiunge Pietropolli Charmet—è quella di farsi obbedire per amore. on più figure severe o autoritarie cercano l’alleanza e la complicità dei figli, lasciando la parte delle regole alle madri. Sono genitori che creano la relazione attraverso la condivisione del tempo libero, lo scherzo, la sfida, e non hanno nessuna voglia di far paura ai figli. Soprattutto se si tratta di adolescenti, una generazione assolutamente refrattaria all’autorità».

  Insomma come sempre il carico resta sulle spalle già affaticate delle donne, alle prese con compagnie mariti assai più presenti di un tempo, ma che del ménage familiare prendono la parte migliore...«È proprio così — conferma con ironia Anna Olivero Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo, e spesso dico che spetterebbe anche alle madri poter condividere di più il tempo del gioco. E questa dimensione “ludica”, che sembra caratterizzare i rapporti tra padri e figli, ritengo abbia delle zone d’ombra, proprio quando i ragazzi si affacciano all’adolescenza, e tendono ad infrangere i limiti. Però i vantaggi del giocare insieme, e a partire dalla prima infanzia, sono in dubbi. Penso al famoso gesto di Ettore, così simbolico, quando si toglie l’elmo e innalza il figlio Astianatte verso il cielo, come spesso fanno i padri, e la madri in quell’attimo sospeso tremano, ma è giusto invece che facciano un passo indietro e accettino quella modalità di contatto». Più fisica magari, ma comunque protettiva. «Molte ricerche hanno provato — ricorda il professor Charmet — che nella fase dell’addormenta mento i maschi sono abili quanto le madri, sia che si tratti di cullare un neonato, sia che si tratti di resistere leggendo una favola, fino a che finalmente i cuccioli si addormentano».

  Infondo è una “chi amata alle armi”. Cioè all’impegno. Se siete dunque così importanti, cari padri fate i padri. Ed è questo il messaggio che in uno scorrevole saggio appena uscito per E in audi, Federico Ghiglione, pedagista ed educatore, manda sia al mondo maschile che a quello femminile. Ghiglione, esperto di paternità, consulente dell’ospedale “Gaslini” di Genova, è inventore dei “Daddy camp”, giornate in cui i genitori maschi vengono invitati a partecipare a tutte quelle attività che i bambini di solito condividono con le madri. Il libro si chiama “I papà spiegati alle mamme”, e Ghiglione prova a raccontare, alle madri appunto, chi sono questi loro compagni, imperfetti pionieri di un nuovo lessico con i figli. “In bilico tra vecchi schemi legati all’autorità, e nuovi modelli legati alla partecipazione e all’accudimento, i papà oggi è come se parlassero una lingua di cui non sono del tutto padroni”.

  Nello stesso tempo le mamme, rivela Ghiglione, “pur desiderandolo, non sono poi così disponibili a condividere il loro ruolo soprattutto nella prima infanzia dei bambini”. Invece è proprio in quei primi mesi che i genitori dovrebbero riuscire a collaborare. “I piccoli infatti,messi a contatto con due linguaggi diversi, impareranno a fidarsi di entrambi”. È però proprio sul gioco che Federico Ghiglio-
ne punta quando si tratta di creare un incontro tra padri e figli. “Sono momenti preziosi che molti uomini ignorano, e vanno educati a scoprirli. Così attraverso i “Daddy Camp”, o il Rugby, o altre occasioni ludiche, favorisco il contatto fuori dai soliti schemi. E i risultati sono eccellenti. Il gioco diventa cioè una bellissima fonte di comunicazione tra padri e figli, e padri e figlie”.


La Repubblica 6 luglio 2015, pag,26

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