di Elena Lisa
Ciò che ci hanno spiegato sulla determinazione biologica nella formazione dell’uomo fin dal suo concepimento, non è che non sia più vero. Semplicemente non basta più. Alberto Piazza, presidente a Torino dell’Hugef, Human Genetics Foundation non parla solo di genetica ma di «epigenetica».
È stato fatto un salto?
«Non proprio. Come i cerchi concentrici nell’acqua, i genetisti hanno allargato il loro raggio: dal dna sono passati ai ricettori nelle cellule. Assorbono gli stimoli esterni e fanno sì che il patrimonio genetico di ognuno si esprima in un modo anziché in un altro».
Crede quindi che la coppia i cui embrioni sono stati impiantati in un’altra donna sbaglia credere che i gemelli siano loro figli perché portatori del loro Dna?
«Da scienziato dico che non tutto, anzi solo una parte della persona è dovuto al Dna. Più
che la biologia conta la biografia di un individuo».
E la biografia investe anche i mesi prima della nascita?
«Soprattutto. Nella placenta un essere si sviluppa. E svilupparsi è molto più che crescere».
Riesce a farci un esempio?
«Il primo trimestre di gravidanza è il più importante. In questo periodo incomincia lo
sviluppo celebrale che è strettamente connesso alla madre».
sviluppo celebrale che è strettamente connesso alla madre».
Che tipo di interazione esiste?
«Molto ci è ignoto. Ma con certezza sappiamo che i neuroni del feto seguono percorsi che un po’ dipendono dal Dna, un po’ sono casuali, e in buona parte sono condizionati dalla mamma che ha in grembo il figlio».
Il Dna cosa determina con sicurezza?
«Il colore degli occhi, la sordità e patologie, appunto, ereditarie».
Il resto?
«E’ una combinazione tra geni e ciò che la donna in gestazione recepisce. Il Dna è un canovaccio su cui ognuno scrive la sua storia».
Nei primi tre mesi lo sviluppo celebrale del feto è strettamente connesso a quello della madre che lo tiene in grembo.
La Stampa, 31 luglio 2014
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