Leggere (buoni) libri insegna a

«leggere la mente»

Nel cervello vengono coinvolte le aree dell’empatia

  di Elena Mili

  Vorreste imparare a «leggere nella mente» degli altri per sapere in anticipo come si comporteranno, interpretare nel modo giusto gesti ed espressioni, capire quali siano i loro desideri? Cominciate leggendo un bel libro: la capacità di entrare in sintonia con il prossimo, infatti, non è solo una qualità innata, ma una caratteristica che si può allenare con le buone letture. Perché leggere un testo e leggere un’emozione hanno moltissimi aspetti in comune, come spiega uno studio pubblicato sulla rivista Science da due ricercatori inglesi.

  «In entrambi i casi il significato deriva da segni (tracce sulla carta o espressioni, movimenti, posture, ndr) e vi sono strutture cerebrali dedicate, con possibili differenze di interpretazione a seconda della cultura cui si appartiene — spiega Cecilia Heyes, dell’Università di Oxford, autrice della ricerca —. Entrambe le abilità ci distinguono dagli animali e sono alla base del nostro essere umani, inoltre
possono essere oggetto di disturbi durante lo sviluppo: nelle sindromi autistiche non si riesce a comprendere l’altro e le sue emozioni, nella dislessia è complicato orientarsi fra le righe di uno scritto».

  I parallelismi, individuati grazie alle tante ricerche che la Heyes ha analizzato, portano a un corollario della teoria, sostenuto da un numero sempre maggiore di prove ottenute in esperimenti su volontari: leggere libri ci rende persone migliori, aumentando la nostra capacità di capire gli altri mettendoci nei loro panni, perché allena capacità simili a quelle che dobbiamo sviluppare per imparare a «leggere la mente» altrui.

  «Un buon testo ci fa guardare la realtà da un punto di vista diverso dal nostro, quello dell’autore e dei suoi personaggi, esercitandoci così a interpretare emozioni, gesti e comportamenti del prossimo anche nella vita quotidiana — spiega Rosa Mininno, psicologa e psicoterapeuta responsabile dell’unico sito italiano dedicato alla biblioterapia (www.biblioterapia.it) —. Immedesimandoci in situazioni più o meno vicine alla nostra storia personale poniamo le basi per accogliere e ascoltare meglio le ragioni degli altri. La lettura perciò è un’ottima “palestra” di vita ed è un’attività molto più dinamica di quanto molti suppongano, proprio perché coinvolge
cervello e cuore».

  Per questi motivi l’ideale è imparare ad amare i libri fin da piccolissimi, come sostiene da tempo il progetto nazionale «Nati per leggere» (vedi box) per favorire la lettura nei bimbi da zero a tre anni. «Molte competenze e abitudini si acquisiscono entro i primi anni di vita e la lettura, che ha ricadute così preziose per il benessere mentale e le capacità di relazione, deve essere introdotta quanto prima — osserva Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino Onlus, che promuove il progetto —. L’essenziale è che i bimbi la vivano come un piacere, Perché accada, il libro, oltre a essere un oggetto con cui si abbia dimestichezza fin dalla più tenera età, deve essere un’occasione di relazione con l’adulto. Mamme e papà dovrebbero leggere quotidianamente storie ai bambini, creando un’abitudine che porterà i figli ad associare la lettura a un momento sereno: la
maestra del nido o della materna che legge una volta alla settimana non basta, sono i genitori a
dover “passare” l’amore per i testi».

  Che però non sono tutti uguali, come hanno dimostrato gli esperimenti di Emanuele Castano, della New School for Social Research di New York, pubblicati di recente su Science: chi legge buona letteratura è più bravo a capire i pensieri di un interlocutore anche solo guardandolo nei occhi, chi invece si limita alla lettura di testi mediocri non affina l’empatia. Succede probabilmente perché nei grandi libri troviamo personaggi che ci spiazzano, costringendoci a guardare la realtà in modo diverso, mentre la prevedibilità di un romanzo di scarsa qualità non ci coinvolge dal punto di vista intellettuale ed emotivo e non ci abitua perciò a cambiare prospettiva. «Un libro banale ma ben scritto può servire magari a diffondere il buon uso della lingua, ma non fa certo pensare, crescere o sviluppare la capacità di capire gli altri — conferma Mininno —. Leggere implica attenzione, interpretazione, dialogo con se stessi: solo così si possono trarre i veri frutti della lettura. Scegliere un libro per distrarsi, magari facendosi attrarre dai testi più commerciali, con personaggi senza spessore, è una finta lettura».


Corriere della Sera, 20 Luglio 2014

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