Giocando si impara. E si diventa «artisti»

La creatività e il pensiero astratto «figli» del gioco: l'uomo di Neanderthal era incapace di pensiero simbolico perché la sua infanzia era molto più breve di quella dell'Homo sapiens
di  Elena Meli

  Giocare è una cosa seria. Attraverso il gioco i bimbi imparano a gestire le relazioni sociali, a trovare soluzioni ai loro piccoli e grandi problemi, ad affinare le capacità. Ma anche a sviluppare il pensiero astratto e simbolico, stando a un ampio articolo apparso su New Scientist: valutando le ricerche sul tema, infatti, si va sempre più confermando l'idea che proprio nella durata dell'infanzia e nella possibilità di giocare a lungo risieda la differenza sostanziale fra l'uomo moderno e uno dei suoi antenati più prossimi, l'uomo di Neanderthal.

  NEANDERTHAL - Evolutosi in Europa circa 250mila anni fa, l'Homo neanderthalensis si estinse attorno ai 30mila anni fa dopo essersi spinto
fino al Medio Oriente; questo nostro progenitore costruiva attrezzi, cacciava, conosceva il fuoco e aveva anche sviluppato l'abitudine a seppellire i propri morti. Ma tutte le testimonianze che ci ha lasciato sono quasi prive di ogni forma di simbolismo, che invece ha permeato l'Homo sapiens e noi, oggi: ad esempio gli abiti che indossiamo hanno una valenza simbolica, perché lanciano segnali non connessi alla loro reale utilità, e soprattutto usiamo un linguaggio, la forma più elevata di simbolizzazione astratta (la relazione fra il nome e l'oggetto o il concetto cui si riferisce è cioè del tutto arbitraria). L'uomo di Neanderthal ha creato pochissimi artefatti in cui si possa riconoscere una matrice simbolica e solo molto tardi, a partire dai 50mila anni fa; nello stesso periodo gli umani evolutisi dapprima in Africa consegnavano alla storia ornamenti complessi, piccole figure intagliate, capolavori di pittura simbolica come la cava di Chauvet in Francia.

  SIMBOLISMO - Creare tutto questo, ovvero ad esempio riprodurre un soggetto tridimensionale su una "tela" di pietra bidimensionale, richiede una capacità di astrazione considerevole. Perché l'uomo di Neanderthal non la possedeva? Secondo gli studiosi è tutta colpa della sua breve infanzia: a differenza dell'uomo moderno, le ricerche hanno mostrato che l'uomo di Neanderthal aveva uno sviluppo molto più veloce e restava dipendente dalla madre meno a lungo rispetto all'Homo sapiens. Di
conseguenza, giocava poco. E il gioco è invece un momento fondamentale per la crescita dell'uomo, ma anche di altre specie animali: esserne privati è dannoso, come mostrano anche esperimenti sui ratti secondo cui la privazione del gioco comporta alterazioni nella corteccia prefrontale, in un'area correlata al ragionamento, il comportamento sociale e il pensiero astratto. In sostanza, il gioco "modella" il cervello, e la forma che questo prenderà dipende dal tipo di gioco che si fa da bambini.

 I piccoli umani usano la fantasia, quindi abilità cognitive simboliche: giochi di ruolo, di immaginazione, in cui bisogna pensare che succede se si fa un'azione piuttosto che l'altra. Tutte attività che aiutano il cervello nello sviluppo del pensiero astratto e simbolico, che l'uomo di Neanderthal non aveva perché cresceva "a tappe forzate": una ricerca dell'Istituto di Antropologia Evoluzionistica del Max Planck Institute tedesco ha dimostrato che anche lo sviluppo cerebrale di quell'uomo primitivo era accelerato e ciò faceva sì che l'ambiente avesse poca influenza, di fatto, sulla forma che il cervello e le sue connessioni avrebbero potuto prendere. Così, l'infanzia breve e poco giocosa sterilizzava la fantasia e la capacità di astrazione dell'uomo di Neanderthal: da nessuno di loro sarebbe mai potuto nascere un Picasso.


Corriere della Sera, 21 agosto 2013 pag

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