Strategie per studenti difficili

In un libro i trucchi per rendere al meglio a scuola partendo dai propri limiti
I pigri, gli ansiosi, i distratti

di Paolo DI Stefano

 
  C’è una strategia per imparare a imparare. Si parte da questo principio: le difficoltà scolastiche non riguardano per lo più le capacità cognitive (apprendimento, memoria, intelligenza) né quelle motivazionali (passione, interesse, etica personale o familiare), ma derivano dal trattamento errato delle difficoltà. È quanto sostiene lo psicologo e psicoterapeuta Alessandro Bartoletti, formatosi in neurobiologia alla Normale di Pisa, autore di un saggio di grande interesse (e, si spera, utilità):Lo studente strategico (Ponte alle Grazie), un repertorio di casi nato dalla pratica clinica. Il trucco è uscire dal binomio-prigione volontà/capacità, per affrontare la resa scolastica come un problema da risolvere con interventi strategici (secondo un approccio suggerito dalla psicoterapia di Giorgio Nardone e Paul
Watzlawick ed elaborata nella Scuola di Palo Alto). In un paese di poeti, navigatori e santi, ma anche di rimandati, impostori e sfaticati, secondo la classificazione di Bartoletti, lo studio è un problema da risolvere.

  La tipologia dell’apprendimento inefficace e del conseguente «blocco da performance» è ricca. C’è lo studente incatenato, che si rivela incapace di concentrazione di fonte al libro fino all’immobilità depressiva. Si tratta, spesso, di una risposta al senso di obbligo: è noto che più si percepisce la costrizione, più va scemando la voglia di studiare. 

  Un supplizio. Per lo studente perfezionista, l’impegno diventa pedanteria e dunque paura di sbagliare: la pretesa di avere tutto sotto controllo finisce per creare ansia, attacchi di panico, forme isteriche e catastrofismo. Per lo studente terrorizzato il vero problema è la sfera sociale: chi non conosce il panico da esame che inibisce la prestazione fino a ridurla a tabula rasa? Lo studente (presunto) incapace è quello condannato a sembrare un
«diversamente dotato», inadatto, sostanzialmente inferiore. Con conseguente annullamento dell’autostima, rabbia contro sé e contro gli altri (in genere il prof o i genitori). Il caso più complicato è quello del cosiddetto «studente-chimera», il cui blocco non è immediatamente identificabile.

  Esistono diversi stratagemmi che permettono al ragazzo di continuare a fallire efficacemente. Sono i finti rimedi: tra questi, l’essere iperanalitici, il mettersi forzatamente alla prova, aumentare la disorganizzazione, sfogarsi senza costrutto cercando la compassione degli altri, intensificare lo studio in extremis (le maratone notturne), aggirare gli ostacoli, rinunciare (lo «studente coniglio»?), copiare dal compagno (una sorta di doping). Il peggio arriva quando ci si mettono pure i genitori: padri e madri «criticisti» a priori («Hai preso 30! E la lode?»), insistenti o al contrario soccorritori-sacrificanti; permissivisti incalliti, deleganti (offrire ripetizioni a pagamento), oppure ipergenitori  ipercoinvolti e iperansiogeni. Lo stile Pigmalione, lo stile utopista, lo stile etichettante di insegnanti mediocri possono intervenire a complicare le cose, deprimendo l’allievo o creandogli aspettative incongrue.

  Dunque, ecco la terapia strategica in una decina di mosse. Concentrarsi su paura e controllo, per arrivare a dominare l’una e l’altro, interrompendo il circolo vizioso che conduce fatalmente all’impasse. «La tecnica principe è la prescrizione dello studio paradossale», avverte Bartoletti. Allo studente si richiede un’applicazione giornaliera molto limitata rispetto alle reali esigenze: il consiglio è di restare seduti davanti al libro per 15, 30, 45 minuti con il divieto di occuparsi d’altro. Progressivamente il tempo aumenterà senza grandi sacrifici. La stessa procedura (speculare) vale per lo studente perfezionista, che dovrà imparare a peggiorare la propria performance, allenarsi all’imperfezione e alla mediocrità per esempio con esercizi di «caco-scrittura». «Per avere successo bisogna prima imparare a fallire» è uno slogan utile da metabolizzare, specie per gli studenti (soprattutto in età adolescente) che vivono un flop in modo traumatico. Ci sono poi le aquile e i topi: gli studenti iperanalitici per scelta o per carenza di alternative, comunque incapaci di sintesi, ai quali viene ricordata una celebre frase di Saint-Exupéry secondo cui la perfezione si ottiene non quando non c’è più niente da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere. Imparare a organizzare le conoscenze, tenere sveglia la propria memoria significa personalizzarla il più possibile.

  C’è una tecnica per tutto: per esempio per superare l’ansia da esame scolastico si propone la strategia della «peggiore fantasia», applicata in molti contesti diversi: consiste nel provocare volontariamente ciò che spaventa «per annullarlo in modo paradossale», dunque focalizzare l’attenzione su stati d’ansia, tipo tachicardia, asfissia eccetera. Metaforicamente: aggiungere legna perché il fuoco si spenga. È un bene o un male socializzare la propria agitazione? Dipende dal soggetto, a volte parlarne è una strategia liberatoria, altre volte è meglio la congiura del silenzio per non alimentare a dismisura il panico. E non pensiate che i consigli siano finiti qui. Se siete un testardo, per esempio, e avete l’abitudine di insistere fino all’ossessione su concetti che non riuscite a cogliere o a esprimere in una tesi scritta, secondo Bartoletti vi farà bene imparare il passo del gambero, cioè procedere a ritroso dalla fine all’inizio. Lo studente finalmente diventato «strategico» troverà ogni volta la strategia giusta a evitare la paura, l’ossessione, l’abulia, il disinteresse, la noia. Se non la trovasse, si imponga di sedersi 15, 30, 45 minuti davanti al libro di Bartoletti, che ha anche il pregio di essere scritto strategicamente bene.


Corriere della Sera, 8 giugno 2013, pag, 51

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