I rischi di un’iper-diagnosi
Trentamila nuovi casi
all’anno solo in Italia
«Ma spesso sui ragazzi si
sbaglia»
di Franca Porciani
classe dove almeno un ragazzino non sia in crisi con la lettura, l’ortografia o le tabelline. Le cifre ufficiali parlano del 5 per cento della popolazione scolastica e i nuovi casi superano i trentamila all’anno. È una nuova epidemia, oppure l’attenzione ha preso la mano a tutti?
Difficile dirlo anche perché si sospetta che
la «trasparenza» dell’italiano, ovvero il fatto che si legga come si scrive,
abbia per troppo tempo occultato la reale incidenza del disturbo in Italia,
problema prorompente nei paesi anglosassoni, dove sfiora l’8 per cento. Spiega
Valentina Bambini, ricercatrice del centro di Neurolinguistica e sintassi
teorica della Scuola superiore universitaria IUSS di Pavia: «Se ci esprimiamo
in termini di fonemi e grafemi (le unità della lingua parlata e scritta, ndr),
la differenza è impressionante: l’italiano ha circa 25 fonemi e 33 grafemi, fra
la fonologia e l’ortografia la sovrapposizione è pressoché totale; l’inglese ha
40 fonemi e 1.120 grafemi, una lingua ostica, inevitabilmente, per chi ha
problemi con la lettura. Già nel 1985 su mille studenti americani e italiani,
una ricerca mise in evidenza una frequenza della dislessia negli Stati Uniti
doppia che in Italia». E i metodi di studio del cervello sofisticati, in grado
di scoprire quali aree cerebrali sono attive mentre si svolgono certe azioni e
compiti, che cosa hanno aggiunto alla conoscenza della dislessia?
Qualcosa hanno spiegato di quella che un
tempo gli stessi scienziati chiamavano con un’espressione colorita, ma spia di
grande ignoranza, la «cecità delle parole», dimostrando, ad esempio, che c’è
una diversa densità
della materia grigia a livello del lobo temporale sinistro
del cervello, quello più implicato nel riconoscimento e l’elaborazione visiva d
e l linguaggio . Una «neurodiversità», la definisce Giacomo Stella. Presente in
uguale misura in dislessici adulti inglesi, francesi e italiani stando a uno
studio pubblicato sulla rivista Brain da vari ricercatori tra i quali Daniela
Perani, neuroscienziata dell’università del San Raffaele di Milano. Diversità
che deve essere sostenuta, ma non guarisce «visto che in età adulta — precisa
Stella — la dislessia è ancora presente nel 75 per cento di quelli che ne hanno
sofferto da piccoli». Confermando l’ipotesi che qualcosa di ereditario ci sia.
Il bambino oggi viene aiutato con vari strumenti: registratore, programmi di
videoscrittura con correttore ortografico, calcolatrice. «La normativa non
prevede l’insegnante di sostegno, per cui il lavoro aggiuntivo può diventare un
carico pesante per l’insegnante — ci informa Francesca Conti, professoressa di
scienze in una scuola media dell’hinterland milanese —. Fortunatamente
cominciano ad essere disponibili, offerti in omaggio dalle case editrici in
questa fase sperimentale, libri studiati per i dislessici, che facilitano la
lettura attraverso espedienti di colore, di maggiore distanza fra le frasi, di
sottolineatura di parole chiave. Ma nel corpo insegnante c’è tanta paura di
sbagliare». Fenomeno confermato da Jubin Abutalebi, docente di neuropsicologia
all’università del San Raffaele di Milano che vede molti di questi bambini (per
legge sono le Asl e gli ospedali che devono fare la diagnosi): «Spesso arrivano
alla nostra osservazione ragazzini definiti dislessici dagli insegnanti, che ad
un esame approfondito si rivelano normali». Dove sta la verità? Secondo
Abutalebi (e non solo) solo studi ulteriori chiariranno meglio questa
«diversità» dei dislessici.
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