C’è una spia nascosta dentro le app per bambini

I costi nascosti e le pubblicità per adulti. Si muove anche il Garante italiano

«Raccoglie dati sensibili senza avvisare chi naviga».

di Renato Benedetto

 
Che quell’app sia rivolta ai più piccoli è espressamente scritto nella pagina di presentazione: «La migliore applicazione di disegno per bambini». E in effetti tracciare sullo schermo dello smartphone linee colorate e figure con un «touch», d’artista in erba o da scarabocchiatore, risulta piacevole: non a caso l’app è stata installata più di un milione di volte e conta quasi 10 mila commenti in maggioranza positivi. Per questo crea ancora più stupore scoprire che tra i banner di quel programma sia comparso l’avviso: «Incontra più di mille single». È una delle tante incongruenze rilevate
dall’indagine della Federal Trade Commission, l’Antitrust americana, sulla privacy nelle app rivolte ai bambini. La Ftc ne ha analizzate 400 tra quelle disponibili su Apple Store e Google Play, arrivando a delle conclusioni poco rassicuranti: spesso questi programmi raccolgono una gran mole di dati personali, senza fornire ai diretti interessati e ai genitori informazioni adeguate su cosa venga raccolto, per quali fini e se sia ceduto a terzi.

  Già in tenera età oggi si ha familiarità con smartphone e tablet: se in Italia quasi la metà dei bambini tra i 7 e gli 11 anni usa il cellulare (dati Eurispes), il 50,9% di questi adora i giochi, mentre non manca chi utilizza altre applicazioni. Il 34,8% usa l’iPad o un altro tablet. Ed è cresciuta l’offerta delle app dedicate ai più piccoli. Programmi fantastici, dove la componente ludica spesso si incontra con finalità educative: per leggere, scrivere, far di conto o imparare i nomi degli animali. Affascinano genitori e figli, ma possono essere poco trasparenti sulle informazioni relative alla privacy. Quasi il 60% delle app prese in esame dalla Ftc fornisce il codice identificativo dello smartphone allo sviluppatore o, più comunemente, a un centro marketing, di analisi dati o ad altre terze parti. E a volte, accanto all’identificativo, ci sono informazioni delicate, come la geolocalizzazione, il numero di telefono o la lista dei contatti. Le app hanno poi altre funzioni interattive: pubblicità all’interno del programma (58%), connessione ai social network (22%), servizi a pagamento (17%).


  Il meccanismo degli acquisti in app è tipico dei giochi gratuiti: si scaricano a costo zero, ma poi chiedono piccoli pagamenti per avere, ad esempio, livelli aggiuntivi o nuove funzioni. Ne sa qualcosa la mamma di J. —
bambino inglese di 6 anni — che sulla carta di credito si è ritrovata un addebito da 950 sterline per gli acquisti fatti dal figlio a sua insaputa giocando a Zombie Takeover (fortunatamente Apple ha poi risarcito la somma). È vero che sia iOS, il sistema Apple, che Android, quello Google, hanno appositi avvisi. Per gli acquisti serve una password. Sull’iPhone bisognerà autorizzare l’app a utilizzare i dati sulla localizzazione o per accedere alla rubrica. Ma nella maggioranza dei casi non viene spiegato il perché della richiesta.

  La Ftc cita un’applicazione che comunica identificativo dello smartphone, numero di telefono e geolocalizzazione a più società terze, pur affermando nell’informativa sulla privacy: «Noi non condividiamo o vendiamo queste informazioni a terze parti». L’identificativo è fondamentale per le agenzie che trattano i dati: è quello che permette di assegnare le informazioni raccolte a un utente univoco, il bambino, di cui si costruisce un profilo dettagliato. Secondo uno studio del Pew Center, il 54% degli utenti rimuove un’app dopo aver scoperto quante informazioni collezioni. E si parla di adulti.

 «Nell’utilizzo delle app gli utenti, in particolare i minori, devono prestare attenzione a quali dati comunicano e verificare sempre per quali scopi vengono richiesti — avverte il Garante per la privacy Antonello Soro —. Molto spesso dati apparentemente innocui relativi ad esempio alla propria famiglia, come la capacità di spesa o la zona di residenza, o ai propri amici, potrebbero essere usati in maniera impropria».

  Negli Stati Uniti l’indagine della Ftc ha portato a un inasprimento delle norme che tutelano i più piccoli online. Anche da noi il tema è sotto esame: il lavoro lo sta portando avanti in ambito europeo il gruppo che riunisce le authority sulla privacy dei singoli Stati (il «Gruppo art. 29»), cui partecipa anche il garante italiano. A marzo sarà pubblicato un parere sulle «mobile app», che conterrà anche delle indicazioni sui minori: per rafforzare il ruolo del consenso dei genitori e per invitare gli sviluppatori ad astenersi dal fare profilazione dei dati dei più piccoli. Anche perché le informazioni, una volta raccolte, hanno vita propria: «È importante sapere che spesso le informazioni che vengono fornite possono rimanere negli archivi degli sviluppatori ben oltre il periodo necessario per darci il servizio richiesto. Alla fine — conclude il Garante — quello che soprattutto occorre fare è insegnare ai ragazzi ad essere cauti e consapevoli nel rilasciare informazioni in Rete».

Corriere della Sera, 16 febbraio 2013, pag, 47

  

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