“Domani sciopero, ma la vita
non aspetta”
Si fermano ginecologi e
ostetriche. Slittano mille interventi
Maria Novella De Luca

Una scelta estrema, drammatica, che tocca il
nucleo più intimo e delicato di tutti: la nascita, i figli, i bambini. Sintomo
della crisi senza ritorno della sanità italiana. Oltre mille gli interventi
rinviati, «ma tutte le urgenze verranno garantite», assicurano i medici della
Fesmed, che insieme ad altre decine di sigle hanno organizzato lo sciopero.
«Vogliamo garanzie per poter lavorare al meglio in strutture sicure e moderne,
e per avere nuove norme di legge sui contenziosi medico-paziente, e tariffe
controllate sulle polizze assicurative», spiega il presidente, Carmine Gigli.
Complicatissimo. Almeno dalla parte delle pazienti.
Ieri mattina, domenica, all’ospedale San
Camillo di Roma, pronto soccorso ostetrico, tra le donne che aspettano di
sapere se saranno ricoverate, e quanto manca, poche ore, un giorno, due. Sui
muri, ovunque, i graffiti della gioia: «Benvenuto Marco, amore di mamma e
papà», segue la data, «finalmente sei arrivata, Alice, 14-10-2001», «ti voglio
bene aquilotto mio, 14-12-2012», scrive a penna Mario, un padre orgogliosamente
biancoceleste. Martina è accompagnata
dalla madre. «Lo so perché scioperano, me l’hanno spiegato al consultorio al corso pre-parto. Dicono che è diventato impossibile lavorare, ginecologi e ostetriche sono sempre di meno, spesso mancano le condizioni di sicurezza e loro sono sommersi dalle cause». Freddezza tra le altre. Paola è stanca: «Se a mio figlio succede qualcosa durante il parto è giusto che i medici paghino, ci mancherebbe». Fuori un freddo da neve. Passa un’infermiera: «Tranquille, non vi spaventate, vi facciamo partorire anche se c’è lo sciopero».
dalla madre. «Lo so perché scioperano, me l’hanno spiegato al consultorio al corso pre-parto. Dicono che è diventato impossibile lavorare, ginecologi e ostetriche sono sempre di meno, spesso mancano le condizioni di sicurezza e loro sono sommersi dalle cause». Freddezza tra le altre. Paola è stanca: «Se a mio figlio succede qualcosa durante il parto è giusto che i medici paghino, ci mancherebbe». Fuori un freddo da neve. Passa un’infermiera: «Tranquille, non vi spaventate, vi facciamo partorire anche se c’è lo sciopero».
Spiega con amarezza Anna
Pompili, ginecologa. «L’ostetricia è ormai al collasso, siamo esposti a rischi
professionali altissimi, e abbandonati a noi stessi. Quando lavori sotto
organico, turni su turni, notti su notti perché gli ospedali non sostituiscono
e non assumono più, il rischio di errore cresce. Veniamo colpevolizzati perché
si fanno troppi cesarei: non è una scelta, è un percorso obbligato, per la
sicurezza del medico, della mamma e del bambino, viste le condizioni in cui
operiamo». Ma i contenziosi comunque crescono, e le aziende, sempre di più, si
rifiutano di pagare le polizze assicurative ai ginecologi, molti dei quali ormai
unicamente a contratto.
Antonio, il marito di Antonella, tira fuori
un thermos di caffè. Ce n’è per tutti, è buono e caldo. Sorride. «Si chiamerà
Gaia, è la nostra primogenita, ci abbiamo messo tanto, speriamo che non abbia
fretta di nascere proprio adesso che c’è lo sciopero... «. Maria Grazia
Pellegrini è oggi capo ostetrica dell’ospedale “Fatebenefratelli” di Roma. «Mi
dispiace se le donne non hanno capito le motivazioni dello sciopero, e sono
convinta che i disagi saranno ridotti al minimo. In quasi tutte le strutture le
pazienti sono state avvertite, le visite spostate e comunque ogni parto
d’urgenza verrà garantito. Ma questo sciopero è soprattutto un fatto simbolico.
I nostri organici sono sotto la soglia di guardia, i medici sepolti dalle denunce,
il 98% delle quali finisce con una archiviazione. Avevamo tentato di ottenere
una legge che depenalizzasse i reati sanitari, ma senza successo. Forse così ci
ascolteranno».
Chissà. Vanessa e le altre attendono. Un
figlio, questo conta. «Le sale parto non dovrebbero scioperare. Dicono che le
urgenze saranno coperte. Ma con quali medici, quali ostetriche?». Difficile
capire le ragioni degli altri al termine di un viaggio di nove mesi, con
l’ansia e la paura che possa accadere qualcosa. Duro Giuseppe Scaramuzza,
coordinatore del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. «Uno
sciopero sbagliato, tutto sulla pelle delle pazienti. E inutile, visto che non
c’è nemmeno un governo a cui indirizzare la protesta».
La Repubblica, 11 febbraio
2013, pag, 18
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