di Pier Giorgio Liverani
Uno storico, Sergio Luzzatto, che insegna
all’università di Torino, tenta una insolita operazione: dare «una storia
naturale» alla «fecondazione artificiale» (Il Sole-24 Ore, domenica 28
ottobre). Nulla di straordinario in apparenza, ma soltanto il tentativo,
svelato dall’"occhiello" del titolo («Fecondazione assistita»), di
rendere naturale la fecondazione assistita umana. Il "sommario", poi,
crea un po’ di utile confusione. Eccolo: «La condanna della Chiesa risale al
1897, ma fu un prete, l’abate Lazzaro Spallanzani, il pioniere di questa
tecnica già nel ’700». Pare fatto apposta per suggerire al lettore l’idea che
l’Abate sia il precursore della fecondazione artificiale umana e che la Chiesa,
per lungo tempo, nulla avesse da dire, essendo la sua "condanna"
venuta soltanto più di un secolo dopo. Invece dal testo risulta che Spallanzani
si occupò soltanto di fecondazioni animali «sia extracorporee sia
intracorporee», ma solo di «rane, salamandre, cani».
E che «i maggiori
rappresentanti europei della Repubblica delle Scienze non tardarono a
riconoscere come esplosive le implicazioni delle sue ricerche». Anzi, uno di
questi, Charles Bonnet, «da Ginevra scrisse a Spallanzani: "Non è detto che
la vostra recente scoperta non abbia un giorno nella specie umana applicazioni
che noi non osiamo pensare, le cui conseguenze non sarebbero certo lievi. Voi
mi intendete…"». Infatti, aggiunge Luzzatto, «già una decina di anni dopo
un noto chirurgo inglese, John Hunter, riuscì a fecondare una donna che
non
poteva avere figli a causa di un’anomalia genitale del marito» mentre «il
Sant’Uffizio non attese oltre il 1877 per decretare, in istruzioni riservate al
clero, l’assoluta illiceità della fecondazione artificiale». La condanna fu
sancita poi pubblicamente nel 1897, sotto papa Leone XIII. Sono tutti dati,
questi, che depongono per la negazione da parte sia della scienza che della
Chiesa di riconoscere "naturale" la "fecondazione artificiale"
umana. Quella di Spallanzani si sviluppò solo tra vacche e giumente, senza che
per essi ci sia una gran differenza tra naturale a artificiale. Al contrario,
la «differenza» degli uomini rende la «fecondazione assistita» soltanto un
artificio e le furbizie giornalistiche non mutano la realtà.
BIOLOGIA
DI CARTONE
C’è qualche biologo che proclama, invece, «la
fine del naturale». La rivista Left (Sinistra) diffusa come supplemento
dell’Unità (sabato 27), parla dei tentativi di certi scienziati di realizzare
«la terza rivoluzione della biologia», vale a dire la produzione, mediante la
«biologia sintetica», di nuovi esseri viventi. La biologia è chiamata
"sintetica" quando fa sintesi, cioè mette insieme «pezzi di Dna, di
Rna, di proteine, di altre molecole», finora, però, con scarsi risultati: un
po’ perché non si sa ancora che pezzi prendere e come combinarli e un po’
perché non esistono leggi esatte cui riferirsi. Anche Goethe «scriveva di una
nuova pianta artificiale "che la natura mi invidierà"» ma, come lui,
«i biotecnologi hanno ottenuto miriadi di "organismi geneticamente
modificati", ma nessuno è mai riuscito a realizzare un organismo vivente
davvero nuovo». Conclusione: certi scienziati rischiano di fare la medesima
figura di Goethe, che non andò oltre la sua ballata dell’"Apprendista
Stregone", che Paul Dukas tradusse in un poema sinfonico finito poi nel
celebre cartone di Disney.
Avvenire, 4 novembre 2012,
pag, 31
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