Dimmi quanta tv guardi e ti dirò se diventerai grasso ecco la formula dell’obesità


I pediatri: “Mai tenerla accesa mentre si mangia”

Maria Novella De Luca

  ESEMPIO: vedere otto ore di televisione a settimana a tre anni aumenta il rischio di diventare obesi a sette. Oppure: i bambini tra i quattro e gli otto anni che “ingurgitano” un’ora e mezzo di tv al giorno, hanno il 75% di probabilità in più di diventare grassi rispetto ai loro coetanei che si limitano ad un’ora soltanto. Non basta: se il piccolo schermo è (purtroppo, dicono i pediatri) in camera da letto, il baby teleutente nel 60% dei casi diventerà un teenager costretto a stare a dieta...

 Dimmi quanta tv vedi e ti dirò se diventerai grasso. Quasi una formula matematica, cifre che spaventano, che fanno sentire smarriti rispetto ad abitudini ritenute innocue e consolidate, il vecchio dibattito sul male e il bene della televisione. Eppure sono questi i dati ricavati da studi internazionali, che la Sip, la società italiana di pediatria, presenterà oggi ai suoi “Stati generali”. Con l’obiettivo di dimostrare che è fin da piccolissimi, addirittura da neonati, che si protegge la salute futura. E che oggi il nemico numero dei bambini italiani è il sovrappeso, figlio non solo di un’alimentazione sbagliata, ma di abitudini radicate e malsane. Basta guardare le tabelle: in 30 anni, dal 1980 ad oggi, il peso dei bambini è cresciuto in media di circa 4 kg, mentre l’altezza di maschi e femmine è rimasta simile... Ma in 30 anni è radicalmente cambiato anche lo stile di vita delle famiglie italiane, e televisione e pc hanno conquistato spazi sempre più ampi. E sono oltre 400 mila i più piccoli già obesi, mentre altri seicentomila superano e non di poco il loro peso “naturale”.

  Spiega Alberto Ugazio, presidente della Società italiana di pediatria: «L’obesità è diventata un problema di
salute pubblica, e non possiamo pensare di fermarla con provvedimenti isolati e frammentari come la tassa sulle bibite gassate e simili... Serve un impegno tra tutti coloro che si occupano di nutrizione e di stili di vita del bambino. E sempre più evidente infatti che l’origine non solo dell’obesità ma di tutta una serie di patologie dei ragazzi, inizia già nella prima infanzia».

  Ecco allora che nel dossier della Società di pediatria è scritto a chiare lettere: «Mai la televisione in camera da letto, mai prima dei due anni, e mai più di due ore al giorno». Con la complicità di merendine, fast food e poco sport, la tv sembra avere una responsabilità diretta nel far diventare grassi i bambini. Perché davanti alla tv si sta fermi, spesso mangiando snack iper-salati o troppo dolci (50 calorie in più al giorno portano ad un aumento di peso di circa 6 kg, l’anno, una bibita gassata bevuta quotidianamente fa salire il peso di 15 kg) mentre la pubblicità seduce il cervello dei più piccoli con continue immagini di cibi. E la fame, allora, sembra non spegnersi mai. Se poi l’abbuffata di serial e cartoni fa perdere anche il sonno (accade quando la tv è in camera da letto e senza il controllo degli adulti) ecco che il rischio per un bambino di diventare grasso nell’adolescenza aumenta del 50%.

  La responsabilità dell’obesità dei ragazzini però va ricercata ancora più in là. Addirittura prima della nascita. Claudio Maffeis, direttore dell’Unita di Diabetologia e Obesità in Età Pediatrica, spiega che sono più d’uno i fattori che portano a quella alterazione del metabolismo che genera prima o poi l’aumento di peso. «L’allattamento al seno riduce l’incidenza di obesità in età scolare del 16-28%, mentre il sovrappeso è favorito da un’alimentazione troppo ricca di proteine e zuccheri nella primissima infanzia. Ma anche le condizioni della mamma in gravidanza sono fondamentali, la sua età ad esempio. Il bambino di una mamma over 35 corre il rischio di nascere troppo grande o troppo piccolo, entrambi fattori di rischio di obesità nelle età successive». Poi, crescendo, sono le abitudini che però contano: al mix micidiale di merendine, junk food e poco sport seguono chili in più e diete faticose. I teenager lo sanno, eppure...

La Repubblica, 17 novembre, 2012, pag, 21
  

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