Con le mani in pasta

Il segreto del sale, l’elemento che rende scura la crosta

Il gusto di fare il pane (in casa e senza aiuti)

di Angela Frenda

  Mettersi lì, con le mani affondate nell’impasto e mille pensieri che attraversano la testa. Lasciarsi andare. Facendosi cullare dal ritmo regolare di pieghe e torciture come se ci si dondolasse in un’amaca. E produrre: pane alla birra, pita, pane piatto armeno, pane al siero di latte, pane al mais senza glutine, pane di segale e semi di carvi...

  Fare il pane è questo e tanto altro. Roba da donne d’altri tempi? Per nulla. Lo dimostrano i blog che spopolano online, molti dei quali dedicati esclusivamente alla panificazione. Ma anche le vendite di impastatrici e di macchine per fare il pane. Sono tre, però, gli elementi fondamentali per riuscire a fare un buon prodotto di questo tipo anche a casa propria. Il primo: la scelta della farina. Tra quelle di frumento, ne va scelta una di tipo 0, che contiene un’elevata quantità di proteine (fino al 17%) per intrappolare l’anidride carbonica durante la fermentazione e dare al pane una buona consistenza. Da preferire farine bio o non sbiancate, per ottenere un miglior risultato. La farina di segale rende invece il pane più denso, mentre la farina di farro è più digeribile di quella di frumento. Altro elemento importante è il sale: non serve solo a insaporire il pane ma anche a reagire con le proteine nella farina per rafforzare il glutine e rendere più scura la crosta. Inoltre è anche un conservante: aiuta a mantenere il pane fresco più a lungo. Attenzione, però, perché troppo sale impedisce la lievitazione.


  Un capitolo a parte merita il lievito: esistono quello fresco e quello secco. Ma sono migliaia di anni che i panificatori mescolano frumento, segale e altri cereali con l’acqua per ottenere il lievito madre (o lievito naturale). Nell’aria e nella farina sono presenti spore di lievito. Mescolando farina e acqua e lasciando che fermentino, vale
a dire quando il lievito produce anidride carbonica, si crea un impasto acido (o «madre»). Ci vogliono 3-5 giorni perché si sviluppi, e una volta pronto si può usare per fare il pane al posto del lievito fresco. La vera sfida, però, è conservarlo. Si mette in frigo, ma per non farlo diventare inattivo vanno di volta in volta aggiunte farina e acqua. Se lo si tratta con amore, dura una vita. Lo spiega bene anche il «maestro» dei panificatori, Eugenio Pol: «Il lievito madre? Rende il pane speciale. Scelti gli ingredienti giusti, a fare il resto ci pensano la natura e il fornaio, che dovrà armarsi di tempo e pazienza». Laurea in Chimica, origini milanesi, ha deciso all’inizio degli anni 80 di migrare verso una vita meno frenetica e trasformare una passione in un lavoro. In alta Valsesia dà il via a una ricerca costante nel campo della ristorazione, ma comincia anche un lavoro di sperimentazione per ottenere il pane come si faceva una volta (fermentazione naturale); così si innamora di questo lavoro e continua a farlo tutt’oggi, a Fobello in provincia di Vercelli (Laboratorio Vulaiga). Il suo pane è apprezzato in tutto il mondo e anche dai maggiori chef italiani come Aimo Moroni, Antonino Cannavacciuolo o Massimiliano Alajmo. Pol seleziona personalmente le farine:  prodotti biologici, il più delle volte macinati a pietra. Utilizza frumento monococco, un cereale predecessore del farro. E poi grano duro Senatore Cappelli, grani teneri (marzuolo, gambo di ferro, gentil rosso, solina) miscelati secondo la sua creatività d’artista. Tra i produttori più accreditati, Mulino Sobrino e, a livello un po’ più industriale, Molino Quaglia.

  Un altro «maestro» è Davide Longoni. Nato in Brianza in una famiglia di artigiani, terminata la laurea abbandona tutto per potersi dedicare alla sua vera passione: il pane. Applicando una «retroinnovazione» nel settore della panificazione, recuperando l’antica tecnica della lievitazione naturale con pasta madre, panificando farine ottenute da diverse cereali quali frumento, segale, farro, kamut Laboratorio a Monza e uno che apre nei prossimi giorni a Milano, in via Tiraboschi 19, Longoni spiega la sua filosofia: «Cerco di produrre il pane nella maniera più semplice possibile. E capisco per questo perché così tante persone desiderano farlo a casa. Anche se va detto che costa di più che comprarlo... Ma c’è desiderio di prendersi cura di sé, anche in termini affettivi. E se si sceglie di farlo con il lievito madre, beh, il risultato è fantastico: si tratta di un ingrediente fondamentale». Boccia, invece, la macchina del pane: «Anche durante i corsi che tengo per Slow Food, la maggiore soddisfazione i miei alunni la ricavano quando imparano a impastare.

Vedere che si può passare da una forma disordinata a una ordinata. Il rapporto con la materia prima si perde con la macchina del pane. Credetemi».

1)     Per prima cosa mettere l’impasto in un cestino da lievitazione

2)     ) Far lievitare per 3-6 ore, fino a raddoppiare l’impasto

3)     Incidere con un motivo a foglia la superficie del pane

4)     Il pane a fine cottura: è il sale che contribuisce a rendere più scura la crosta (foto di Steve  Painter, tratte dal libro «Come si fa il pane»)

I tre fondamentali

Sono tre i passi da non trascurare: la scelta della farina, il sale e il tipo di lievito

Corriere della Sera, 24 novembre 2012, pag, 32
 

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