di (A.Mor.)
Due embrioni umani e linee di cellule
staminali embrionali sono stati ottenuti all’Università dell’Oregon (Usa)
fecondando ovociti modificati, cioè con un patrimonio genetico misto: il Dna
del nucleo appartiene a una donna diversa da quella che ha fornito i
mitocondri, corpuscoli all’interno della cellula uovo ma fuori dal nucleo, con
un proprio Dna. Gli embrioni e le linee cellulari embrionali formati in questo
modo hanno quindi il Dna, in totale, di tre persone diverse: due femmine e un
maschio. I sostenitori di questa tecnica dicono che servirebbe per sostituire
mitocondri "malati" con quelli "sani", per evitare
patologie legate ad anomalie genetiche. Ma i fatti dimostrano tutt’altro. Già
nel 2001 la Fda – l’agenzia di farmacovigilanza americana – aveva proibito
queste tipologie di procedure negli Usa, utilizzate nella fecondazione
assistita, perché ne erano nati bambini con malformazioni. Stando alle agenzie,
anche da quest’ultimo esperimento, condotto su embrioni umani, in più della
metà dei casi si riscontrerebbero anomalie. La verità è che, fallita la
clonazione col metodo che fece nascere la pecora Dolly,
oramai superato dalle
cellule Ips del premio Nobel Shinya Yamanaka, si cercano altre strade per
l’obiettivo di sempre: disegnare e produrre esseri umani in laboratorio. Ancora
una volta si usa un falso pretesto – una strada per eliminare malattie
incurabili – per legittimare la sperimentazione più estrema sugli esseri umani,
progettati per essere cavie.
Avvenire, 25 ottobre 2012,
pag, 352
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