Storia dei tentativi di
emanciparsi da uno stereotipo
di Giulia Galeotti
Rimane, molto probabilmente, uno dei
giocattoli più criticati e stigmatizzati. E senz’altro a ragione. Con le sue
forme perfette e irreali, Barbie — donna-bambolina impossibile — è divenuta
negli anni l’emblema della perfezione posticcia, della bellezza plastificata,
della bionda vacuità, autentico anti-modello per le bambine, reali, in
crescita. Né i goffi tentativi della casa produttrice di renderla più vera (dal
1997, ad esempio, il corpo di Barbie è stato rimodellato per darle un bacino
più ampio), ne hanno mutato l’essenza. Barbie resta concepita al botulino, con
il suo Dna iscritto nella chirurgia estetica, prima ancora che la chirurgia
estetica diventasse routine: dimostrandosi impermeabile a tempo, mode e rughe,
il primo esemplare risale addirittura al 9 marzo 1959.
Mentre Ruth Handler guardava la figlia
Barbara giocare — narra la leggenda — realizzò che la bimba dava alle sue
bambole ruoli da adulti. Ipotizzando che potesse trattarsi di un’ottima scelta
di mercato, Ruth suggerì l’idea di una linea di bambole adulte al marito
Elliot, cofondatore della Mattel. Inizialmente l’idea non lo entusiasmò
affatto, ma la tenacia della donna ebbe la meglio: prendendo ispirazione da
Barbara, Barbie fece la sua prima apparizione nei negozi con costume zebrato e
capelli raccolti in una lunga coda di cavallo. Da lì, un successo
inarrestabile: la Mattel ha dichiarato che nel pianeta vengono vendute tre
Barbie al secondo.
Per respingere al mittente le accuse di
giocattolo diseducativo, i produttori di Barbie le hanno imposto nella sua
storia qualche scelta politicamente corretta. Ad esempio, si sono preoccupati
di far sapere che la bellissima non trascorre tutto il giorno solo a farsi
bella per Ken — oltre, chiaramente, a fare la modella (1959), l’infermiera e la
hostess (1961), la mamma (1963), l’insegnante (1965), la ballerina e la star
del cinema (1988), l’istruttrice di
aerobica (1990) o la fioraia (1999).
Barbie, infatti, tra l’altro, è stata chirurgo (1973), ambasciatrice per la
pace e rockstar (è stata la front woman
di diverse band, tra le quali Barbie and the Rockers; 1986); atleta olimpica
(1987), medico (1988), ufficiale militare (1989), ambasciatrice dell’Unicef e
pilota d’aereo (1990), poliziotta (1993), pediatra (1994), vigile del fuoco
(1995), veterinaria (1996), paleontologa e dentista (1997).
Una vicenda a parte quella del rapporto tra
l’americanissima Barbie e la Casa Bianca. Né democratica, né repubblicana (ma
leader indiscussa del «B Party») Barbie è stata più volte candidata
presidenziale, mentre nel 2000 è diventata addirittura presidente degli Stati Uniti.
Con una particolarità interessante: per il più recente look da candidata
(tailleur rosa con richiami patriottici blu, bianchi e rossi, disegnato da
Chris Benz) Barbie per la prima volta dopo mezzo secolo ha abbandonato gli
scomodi tacchi a spillo optando per la zeppa: un cambiamento storico che le ha
permesso di restare letteralmente in piedi da sola.
Né Barbie può e deve essere accusata di
razzismo. Negli anni Ottanta infatti nasce la serie Dolls of the World, in cui Barbie assume
finalmente le fattezze e l’abbiglia mento caratteristico del Paese che
rappresenta. Compare la prima Barbie di colore (non la prima bambola
afroamericana prodotta: già nel 1964 c’era stata Julia e poco dopo Christie),
ma la prima bambola con la pelle nera a chiamarsi Barbie (poi sono arrivate le
Barbie orientali). Barbie, del resto, ha avuto addirittura un’amica paraplegica.
Nel 1997, infatti, è comparsa Becky, l’amica biondissima, bellissima e in
carrozzina. A nemmeno un mese dal lancio, però, risultò l’enorme gaffe compiuta
dalla Mattel: la sedia a rotelle della signorina, infatti, non entrava nella
casa della celebre amica (e pare che la barriera architettonica ne abbia fatto
crollare le vendite).
L’ultima frontiera del politicamente corretto
è notizia di questi giorni: la Barbie calva dovrebbe infatti presto diventare
una realtà. Dopo una campagna su Facebook e dopo l’iniziale rifiuto della
Mattel («non accettiamo condizionamenti esterni»), è stato invece dato il via
libera alla produzione. Barbie bold,
però, non sarà in commercio, ma verrà donata agli ospedali pediatrici che
ospitano bimbi colpiti da tumori.
Professioni, colore della pelle, disabilità e
malattia: il cammino di Barbie parrebbe la dimostrazione della (parziale)
infondatezza di tante critiche perché, in fin dei conti, bella anche con anima
e senso civico.
Viene però un dubbio: quanti di noi hanno
mai realmente incontrato queste Barbie sugli scaffali dei negozi? Perché di
questa galleria di politicamente ed educativamente corretto non v’è traccia
alcuna sul mercato reale? Perché — giusto per commentare la più stretta
attualità — non vendere la Barbie calva che potrebbe rappresentare una
importante via per rassicurare le bimbe davanti alle madri sotto chemio?
Secondo la Mattel, il novanta per cento delle
bambine americane di età compresa tra i tre e i dieci anni possiede almeno una
Barbie, facendone così la bambola più venduta negli Stati Uniti. Sono dunque
innanzitutto i dati a dimostrare quanto Barbie potrebbe davvero rappresentare
un potente strumento per incoraggiare cambiamenti sociali. Lo diceva anche
Alessandro Manzoni: è giocando che si comincia a focalizzare chi e cosa si
aspira a diventare. Perché Barbie non decide di crescere davvero, una buona
volta?
Chissà, magari finalmente un giorno sarà
necessaria una nuova versione della sublime
Barbie Girl. Gli Acqua sono avvertiti.
L’Osservatore Romano, 19
agosto 2012, pag, 5
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