di Gabriella Sartori
Tocca anche agli sconosciuti più sconosciuti
della società, ogni tanto, l’onore di affiorare alla cronaca: è il caso del non
nato apparso nei titoli di questi giorni sotto forma dell’incriminazione –
«uccisione di feto» – aggiunta dal procuratore capo di Trapani, Marcello Viola,
alle altre terribili incriminazioni previste dal codice per gli amanti
diabolici, Salvatore Savalli e Giovanna Purpura, che, «in concorso», avrebbero
prima colpito con otto picconate e poi dato alle fiamme Maria Anastasi, moglie
di Salvatore, incinta al nono mese del quarto figlio. «Uccisione di feto?», era
la domanda non detta di fin troppi cronisti, come se risultasse loro particolarmente
strana l’idea che potesse esser stato «ucciso» un individuo non ancora nato, di
cui poco o nulla si parla. E, se lo si fa, quasi sempre è per dire che, non
esistendo all’anagrafe, non esiste proprio.
Di qui la premura di precisare che
l’incriminazione è stata possibile in base all’articolo 18 della legge 194, che
nel disciplinare l’aborto punisce anche chi procura l’interruzione violenta di
gravidanza «senza il consenso della donna». E quindi, per via del consenso che
nella povera Maria Anastasi non c’era proprio in alcun modo, anche il suo
bambino, vivo e vegeto come gli altri ma ancora allo stato fetale, è riuscito
ad avere dignità di essere riconosciuto dalla legge come «ucciso». Proprio come
un essere umano, vivo come gli altri.
Per gran parte della scienza, questo è il
feto umano. E, dal 18 ottobre scorso, lo è anche per la Corte di Giustizia
Europea del Lussemburgo, che ha precisato: lo è «fin dal concepimento». Essere
umano a tutti gli
effetti, il feto (e anche l’embrione, cioè «il prodotto del concepimento entro i primi trentacinque giorni dalla fecondazione», dice l’Oms) lo è per tutti quelli che considerano il non nato esattamente «Uno di noi». Questo il nome dell’iniziativa dei Movimenti per la vita dei Paesi europei, che mirano a raccogliere almeno un milione di firme affinché venga riconosciuto dal diritto europeo ciò che ha detto non il Papa ma l’Alta Corte di Lussemburgo: e cioè che i non nati, embrioni compresi, sono esseri umani come noi. Come quei cronisti, che ne parlano per esigenza del mestiere, ma non sorprendentemente faticano a crederlo, dato che, semplicemente, non sanno di cosa si tratta (qualcuno di loro ha titolato l’incriminazione di Trapani: «per uccisione di embrione»).
effetti, il feto (e anche l’embrione, cioè «il prodotto del concepimento entro i primi trentacinque giorni dalla fecondazione», dice l’Oms) lo è per tutti quelli che considerano il non nato esattamente «Uno di noi». Questo il nome dell’iniziativa dei Movimenti per la vita dei Paesi europei, che mirano a raccogliere almeno un milione di firme affinché venga riconosciuto dal diritto europeo ciò che ha detto non il Papa ma l’Alta Corte di Lussemburgo: e cioè che i non nati, embrioni compresi, sono esseri umani come noi. Come quei cronisti, che ne parlano per esigenza del mestiere, ma non sorprendentemente faticano a crederlo, dato che, semplicemente, non sanno di cosa si tratta (qualcuno di loro ha titolato l’incriminazione di Trapani: «per uccisione di embrione»).
Non dovrebbe esser così ma, dato il contesto
sociale e culturale in cui viviamo, purtroppo non sorprende anche se dispiace.
Ma dispiace ancora di più il fatto che, negli stessi giorni in cui il povero
figlio ancora non nato di Maria Anastasi veniva considerato anche legalmente un
vivo che era stato «ucciso», fior di personaggi di grande rilievo sociale,
economico, politico, culturale, in Italia e all’estero, partecipavano con
entusiasmo degno di miglior causa alla programmata distruzione per aborto
procurato di vite umane allo stato embrionale o fetale, specie nei Paesi
poveri: vedi il trionfale meeting targato Onu di Londra svoltosi all’insegna
della «salute riproduttiva», cui hanno dato fiumi di denaro e appoggio non solo
gli straricchi alla Bill Gates (milioni di euro per far morire di aborto i non
nati dei poveri, neanche un centesimo per curare le malattie infantili o per
educare i loro genitori alla procreazione responsabile), ma anche nomi
altisonanti della politica quali i britannici Cameron e Blair, che pure si
dicono cattolici (nonché, a casa nostra, qualche medico ormai prestato
stabilmente alla politica). Dicono, costoro, che voler bene ai poveri bambini
di madri poverissime significa eliminarli allo stato di embrione o di feto
prima che rischino di morire di fame o di mancanza di medicine o cure. Aggiungendo
che, su questi argomenti, il «Vaticano sbaglia» perché propone di salvarli.
Forse sbagliano loro: a non sapere quello che «il Vaticano» (leggi i nostri
splendidi missionari) ottengono a vantaggio della vita umana da salvare con
l’educazione e l’amore, la generosità vera verso i poveri. Cose ancora
dell’altro mondo per molti, anzi per troppi.
Avvenire, 19 luglio 2012, pag, 9
Nessun commento:
Posta un commento