di Stefano Bartezzaghi
I semiologi lo sanno: “su” il più delle volte è
anche “bene”, “giù” è anche “male”. Vale nella psicologia e nello sport (esser
su di umore o bassi in classifica), nell’economia e nella postura (stipendio
basso e fronte alta) e in tutte le evenienze. Nelle infanzie condominiali,
invece, era l’opposto: “su” era a casa, a fare i compiti; “giù” era in cortile.
Cioè, a giocare.
Prima che divenisse un parcheggio per
biciclette, scooter, moto o anche auto e uno spiazzo per i differenziati
contenitori per rifiuti, il cortile infatti è stato una perfetta ludoteca
polifunzionale: campo di calcio, campo da tennis, pista per i venti metri
piani, velodromo, territorio da cui partire per il nascondino, da cui scappare
per il «ce l’hai» o il «rialzo», da decorare per giocare a «mondo» (o
«settimana», o «campana»). E poi, naturalmente, foresta colma di insidie, circondata
da vetri assai fragili per i fuori campo dei calciatori più maldestri (con
piede detto «a banana»), riserva per i safari delle vicine meno comprensive e
più pronte di secchio o per portinai e portinaie che accorrevano, ciabattando e
brandendo scope. Le mamme più sgamate si preoccupavano sì per urla e liti, ma
ancora di più per i silenzi: facilmente sintomo di felpati complotti, forieri
di disgrazia. Voci piene di rispetto narravano che durante uno strenuo cimento
di cerbottane un glorioso bussolotto cartaceo, animato dal potente soffio
vitale di un ragazzetto già viriloide, si fosse arrampicato sino alla finestra
aperta di una cucina per poi penetrare con precisione degna del grande Magic
Johnson in una pentola, e nella relativa minestra in ebollizione. Il cortile,
chi c’era lo sa, era gioco e quindi era anche mito.
Ci sono ancora, a Milano, cortili adatti ai
bambini? E (quesito anche più doloroso) bambini adatti a cortili? Potremo
appurarlo solo se le mamme o le tate riusciranno a convincerli: vai giù a
giocare, puoi, l’ha detto anche il sindaco. Loro, savi, diffideranno: sanno che
un sindaco è remoto ma che i vicini (lo dice la parola) no, sono proprio lì.
Sono anni che dalle finestre milanesi non si
sentono bambini giocare. Frequenti, invece, le Harley-Davidson, le autoradio
con musica altissima, i telefonatori ululanti, i cani ringhiosi, i mezzi della
Nettezza Urbana (benedetti, ma certo non discreti), i musici ambulanti, tv e
radio tenute a volumi insensati, antifurti trapananti. Ma i bambini che
giocano, no. Si sa, loro schiamazzano: danno fastidio.
La Repubblica, 1 luglio
2012, pag,19
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