Il Dna già nella pancia così sapremo il destino del bimbo che nascerà

Un supertest per 3000 malattie genetiche

di Elena Dusi

  LA LETTURA  totale del Dna — croce e delizia della medicina del nuovo millennio — si è applicata finora agli adulti. Da oggi invece anche un bimbo nell’utero potrà conoscere dalla prima all’ultima lettera quel che è scritto nel suo genoma. Genitori e medici sperano di ottenere informazioni sulla salute del feto e di escludere la presenza di circa tremila malattie di origine genetica. Ma l’aspetto paradossale di questi studi è che il bambino, ancor prima di nascere, si troverà a conoscere quali malattie potrebbero rischiare di farlo morire.

  Dalla lettura completa del Dna infatti è possibile ricavare (anche se in maniera poco nitida per ora) informazioni sulla predisposizione a malattie cardiovascolari, tumori, disturbi neurologici. La ricerca che oggi viene portata avanti dalla University of Washington di Seattle sui bimbi in gestazione permetterà quindi di individuare non solo problemi come trisomie, anemia mediterranea, fibrosi cistica, sordità (possibile già oggi grazie all’analisi del liquido amniotico o dei villi coriali). Ma consentirà anche, per la prima volta, di ottenere la mappa totale del genoma dell’individuo che verrà.

  Per conoscere il Dna completo di un feto non serve nemmeno arrivare dentro l’utero. Nel sangue di una donna in gestazione infatti sono stati scoperti nel 1997 i frammenti del Dna del figlio. Questi piccoli filamenti di materiale genetico riescono a uscire dalla placenta ed entrano in circolazione nel corpo della madre. Sono piccole tessere incomplete, e anziché essere confinati nel nucleo delle cellule (dove di solito il Dna si trova) questi piccoli tranci di cromosoma vagano liberi nel sangue. «Si tratta di frammenti, è vero. Ma sono tanti. E noi siamo certi di ricavare con un singolo prelievo di sangue una quantità di Dna sufficiente a mettere insieme l’intero puzzle del genoma del figlio» spiega Mario Ventura, il biologo dell’università di Bari che ha collaborato allo studio di Science Translational Medicine.


  Le analisi del Dna fetale prelevato dal sangue della madre sono state usate in passato anche per esami molto più semplici della lettura completa del genoma. «Da circa un decennio — spiega Mario Campogrande, uno dei padri della diagnosi prenatale ed ex primario al Sant’Anna di Torino — si studia questa tecnica per individuare le trisomie 13, 18 e 21 o altre malattie genetiche specifiche di cui si sa che i genitori sono portatori. Ma l’esame non è mai passato dalla fase sperimentale alla pratica corrente, perché la sua affidabilità è bassa. È ancora difficile infatti distinguere il Dna fetale da quello della madre»

   I ricercatori di Seattle hanno risolto l’impasse guardando al contributo del padre. Metà del Dna del figlio infatti arriva dallo spermatozoo. Se dall’analisi del materiale genetico del sangue si ottiene un mix della madre e del bimbo, dal confronto con l’uomo — e attraverso calcoli assai complicati — la differenza è emersa in maniera chiara. Il profilo genetico che è stato ottenuto a Seattle appartiene a un bimbo testato alla 18 esima settimana di gestazione. Dopo la sua nascita, un frammento di Dna è stato sequenziato con le tecniche tradizionali e confrontato con quello elaborato durante la gravidanza. I due combaciavano in maniera molto precisa: al 98,1%. Ed è possibile che quando i costi scenderanno — attualmente la lettura completa del genoma costa attorno ai 10mila dollari — il sequenziamento del Dna del neonato diventi uno dei regali più gettonati per il nascituro. «Ma non facciamoci illusioni — mette in guardia Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico del Bambin Gesù di Roma — leggere le informazioni del Dna non vuol dire saperle interpretare. Abbiamo macchine di potenza incredibile, cui la nostra capacità di comprensione non riesce a stare dietro». Per Campogrande il nuovo test ha un vantaggio importante: «Basta un prelievo di sangue. Questo esclude il sia pur minimo rischio di aborto che si accompagna agli esami tradizionali. Ma avere a disposizione il Dna completo pone problemi etici del tutto nuovi».

  Per il momento sono tremila le malattie genetiche note causate da una sola mutazione del Dna e quindi diagnosticabili con questa tecnica (più difficile è identificare i problemi causati da mutazioni contemporanee). «Ma ci aspettiamo — aggiunge Ventura — di scoprire grazie ai nuovi dati malattie di cui prima non sospettavamo l’esistenza».

la Repubblica, 7 giugno 2012, pag, 25


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