L’obiettivo è insegnare la responsabilità. La gioia che
segue a un buon comportamento è più importante di un regalo
Togliere i
giochi non è la soluzione
di Federica Mormando
La paura di essere puniti può trattenere dal
fare il male, ma non indurre a desiderare di fare il bene, l’unica disciplina
efficace è l’autodisciplina», scrive lo psicanalista Bruno Bettelheim. Il
desiderio di comportarsi bene deriva da valori e consuetudini assorbiti
principalmente attraverso l’ammirazione e l’amore per chi li pratica. Da
piccoli e da grandi, a determinare il comportamento è soprattutto
l’identificazione, che passa dapprima dall’amore verso le persone-guida, poi
dall’esperienza delle conseguenze delle nostre azioni. Una punizione data per
ira, prepotenza, impotenza provoca rancore e, se umiliante, un cocente senso
d’ingiustizia: sensazioni che sostituiscono il desiderio di «non farlo più» col
proposito di farlo appena nessuno se ne accorge. La punizione può distrarre
dallo scopo che dovrebbe avere perché può essere vissuta come un pagamento che
estingue il debito, senza distogliere dal procurarsene altri.
Come
la grandine
Se vai male a scuola, studiare diventa
prioritario, perché devi avere dei buoni voti, senza i quali non ti mostri
capace di assolvere il tuo dovere, quindi neppure di meritarti degli svaghi. Se
ti comporti male a tavola, non puoi restare seduto con il resto della famiglia
perché è sgradevole per gli altri. Se sei prepotente, non puoi essere amato
dagli amici. Se lasci la casa in disordine, non ci puoi fare la festa. Se non
sai mantenere gli orari, non puoi uscire… E viceversa. Il problema è che i
grandi vorrebbero far poca fatica nel formare i bambini, e quando le
conseguenze diventano pesanti cercano scorciatoie che non ci sono.
Il silenzio
È importante che l’azione
formativa dei genitori sia intangibile. La gioia e la stima che seguono a un
buon comportamento sono un incentivo assai più importante di qualunque regalo.
E il silenzio è più incisivo di una scenata. L’interruzione (mai troppo
prolungata) della comunicazione è più grave di un ceffone: se fai una cosa che
non va bene, non puoi aspettarti che io sorrida e abbia voglia di stare con te;
sono dispiaciuto ed offeso, ti ignoro. Così l’allontanamento: ti stai
comportando male, vai in camera tua. È sempre importante sforzarsi
contemporaneamente di comprendere, di chiedersi: che cosa mi spingerebbe a
comportarmi così? Che cosa mi farebbe cambiare? Mostrare ai ragazzi che si
riflette sulle loro motivazioni è sempre utile, e non coincide con l’indulgenza
ma con l’interesse per loro, che non hanno la nostra esperienza, e agiscono di
olito in funzione del momento presente. È questo il motivo per cui le minacce riguardanti
il futuro non fanno resa.
Severissimi
A volte bisogna chiudere la
stalla a buoi scappati: famiglie impreparate si trovano di fronte a
comportamenti
che non hanno potuto o
voluto prevedere. Bullismo, furti, violenze. In questi casi la punizione fa
parte dei rimedi. Va pensata, non concordata. Che sia riparatoria, costruttiva.
Che non aumenti la rabbia dei ragazzi. Che esponga ad esperienze positive. Che non
dia adito a protagonismi negativi. Che sia severissima. Può essere necessaria
una consulenza. Non permettere di uscire la sera quando se ne sono visti i
pessimi risultati è difficile, ma lo è meno se accompagnato da un’atmosfera
serena in famiglia, preludio a un rapporto di confidenza. Talora può essere
necessario un provvedimento drastico, come l’allontanamento, da viversi però come
soluzione, non come punizione. E, in casi estremi, che arrivi uno spavento
vero, anche dalla forza pubblica, che sia avvertimento importante per il
ragazzo e, per i genitori, un’opportunità di recuperare il proprio ruolo.
Un
castigo dato per ira provoca solo rancore e senso d’ingiustizia.
Il
silenzio è più incisivo di un ceffone. Ma bisogna sforzarsi di comprendere
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