Negrin: non possiamo ingannare i bambini


L’illustratore italo-argentino sarà alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna «I piccoli cercano il particolare, la coerenza. Essere artisti a volte è più facile»

di Cristina Taglietti

«Qualche giorno fa parlavo con Roberto Innocenti e ci chiedevamo quanti illustratori per ragazzi, che vivono solo di quello intendo, ci siano in Italia. Io dicevo circa dodici. Lui sostiene solo due. Ma Roberto è così. Gli piace pensare che sarà quello che spegnerà la luce».
  Forse non sono rimasti soltanto loro due, ma sicuramente tra Roberto Innocenti e Fabian Negrin c’è una linea diretta. Stessa ostinazione nel voler vivere di un’occupazione, l’illustrazione di libri per ragazzi appunto, che non porta con sé grandi soddisfazioni economiche; stesso attaccamento, in tempi di trionfo digitale, ai «vecchi strumenti»: carta, matite, pennelli (unica concessione lo scanner, per mandare le tavole agli editori); stessa idea, umile ma non sminuente, di ciò che si è: artigiani più che artisti. «Dal mio punto di vista è anche più difficile. Seguire l’estro, o l’intuizione, del momento è tutto sommato semplice. Tradurre in immagine un testo, raccontare con i disegni una storia, facendo procedere insieme parole e segni richiede uno sforzo superiore. La cosa importante non siamo né io, né l’autore, ma il legame tra le due forme espressive. I bambini sono spietati, guardano i particolari, se uno stesso personaggio lo fai in due modi diversi si arrabbiano e te lo dicono. Non puoi prenderli in giro».

Fabian Negrin all’illustrazione per ragazzi è arrivato per scelta e per gradi. Nato a Cordoba, in Argentina, nel 1963, si è trasferito in Messico a 18 anni, dove ha frequentato la facoltà di grafica. «Sono rimasto lì 8 anni, lavorando nei giornali, realizzando fumetti. Poi mi sono trasferito a Milano, senza sapere veramente che cosa avrei fatto. E non me ne sono più andato». A Milano, agli inizi degli anni Novanta, nell’editoria c’era molto spazio per gli illustratori. «Ho collaborato con molti settimanali, da "Sette" a "Panorama", da "Marie Claire" a "Fortune". Disegnavo qualunque cosa: anche le posizioni della ginnastica per "Cento cose". Il che è stato utilissimo: un esercizio costante per lo studio della figura umana, un vero e proprio apprendistato che consiglierei a tutti».
  Negrin sarà alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, il più importante appuntamento internazionale per il settore, con i suoi ultimi lavori: Frida e Diego (Gallucci), l’omaggio a Salgari di Chiamatemi Sandokan (Salani), Capitan Omicidio di Charles Dickens che Orecchio Acerbo ha rieditato in una nuova collana «I libri con il poster». Il 20 marzo, sempre a Bologna, inaugurerà anche la mostra con le tavole di Frida e Diego alla Biblioteca dell’Archiginnasio. Al tavolo di lavoro, nella camera da letto della sua casa milanese, c’è la cartella con le ultime tavole preparate per una raccolta di tre racconti di Italo Calvino che Mondadori pubblicherà nella collana Contemporanea e che segna il ritorno, dopo dieci anni, dell’illustratore con la casa editrice di Segrate. «Intanto ho cominciato un nuovo lavoro, "Bêtes", per l’editore francese Seuil».
  Negrin è un illustratore poliedrico, dallo stile sempre diverso, eppure riconoscibile dal tratto deciso. Ha raccontato alla rovescia la storia di Pinocchio in Occhio pin (Orecchio Acerbo), dove i burattini sono gli altri e Pinocchio un bambino che cerca di evadere dal conformismo, ha riscritto Cappuccetto Rosso ascoltando la campana del lupo (In bocca al lupo, Orecchio acerbo), ha spiegato con pastelli e acquerelli l’orgine della specie di Darwin (In riva al fiume, Gallucci), ha illustrato il racconto di Jack London L’ombra e il bagliore (Orecchio acerbo). «Ho fatto un centinaio di libri finora, prima ne realizzavo anche dieci l’anno. Adesso molti meno, tre o quattro l’anno, per l’estero soprattutto». Il suo stile si è evoluto nel corso del tempo e ora sembra celebrare un ritorno al classico. «Mi interessano e mi ispirano autori come Maxfield Parrish, Howard Pyle, il primo Novecento, che per me è l’epoca d’oro dell’illustrazione. Poi, certo, guardo molto anche i pittori, a seconda di quello che sto facendo. La pittura dell’Ottocento, gli artisti vittoriani, van Dyck, Delacroix sono quelli che in questo momento studio di più. Una volta mi interessavano i contemporanei, non so forse sono diventato reazionario. Faccio anche la tempera all’uovo, come i fiamminghi, anche se a volte uso pure il computer come nel caso di Santi bambini. Però sono i dettagli che mi fregano. Riconosco subito se è un olio o un acquerello vero. Con il computer c’è un’impressione di finto che per me è fortissima. Il fatto di poter cancellare facilmente toglie la tensione che c’è quando disegni a mano. Se una cosa non viene bene devi rifare tutto e, non so come, ma questo migliora il disegno».
  Il ritorno a uno stile più classico, dopo aver abbandonato le sperimentazioni, va anche in un certo senso incontro ai bambini. «Sì perché a parte casi come Piccolo blu, piccolo giallo di Leo Lionni, non c’è dubbio che per loro il figurativo è molto più interessante dell’astratto, anche se mi rendo conto che è difficile parlare di contrapposizioni classico/moderno senza sembrare ideologici. Anche perché ogni bambino è diverso dall’altro, lo vedo frequentando le scuole, andando agli incontri. L’importante è non pensare che, siccome alla Biennale di Venezia va di moda un certo tipo di opere, anche l’illustratore debba fare lo stesso. Insomma bisogna sempre tenere presente che sono ambiti molto diversi». Per Negrin due maestri assoluti, due classici forse sottovalutati, sono Iela Mari e Toti Scialoja. «Mari è modernissima, nelle sue opere c’è una cura del dettaglio che va proprio nel senso che anch’io adesso cerco: lo sguardo bambino».

  Concerto di pentole con finale poetico
  Avete in famiglia qualcuno che suona tutto quello che gli capita a tiro, dai coperchi delle pentole ai bicchieri di cristallo, dalla pianola allo zufolo al tamburo? Così fa Romeo, (Romeo Mozartin e la frutta canterina, di Chiara Lorenzoni, Giralangolo, e 13,50) «la cui voglia di musica non si saziava mai». E avete per caso un vicino di casa che non ne può più? Così non ne può più di Romeo il confinante signor Topazio (che oltretutto aveva sempre odiato la musica), coltivatore di alberi di frutta squisita. Tanto più che le note emesse da Romeo non sono come tutte le altre. Finale imprevisto e poetico. Belle anche le illustrazioni di Francesca Dafne Vignaga (premio speciale al gattino non protagonista), peccato solo che, come spesso succede negli albi illustrati, si leggano a fatica i caratteri neri sulle pagine a fondo scuro.

   Corriere Delle Sera, 11 marzo 2012, pag, 18

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