La vaccinazione moderna è una grande conquista della
medicina. Eppure ancora oggi viene messa in discussione, perché ha forti implicazioni
politiche. L’esperienza del vaiolo.
di Michael Specter, The New Yorker, Stati Uniti
Per millenni le epidemie si sono diffuse in
tutto il mondo al seguito degli eserciti in guerra. La peste di Galeno, che
decimò Roma nel 165 dopo Cristo, entrò nell’impero con i soldati che tornavano
dal vicino oriente. Le malattie infettive, più delle spade e dei fucili,
aiutarono Pizarro a conquistare l’impero inca. Nei primi anni settanta
dell’ottocento, una pandemia di vaiolo che accompagnò la guerra franco prussiana
uccise più di mezzo milione di europei. Il vaiolo costò la vita a decine di migliaia
di soldati francesi, ma i prussiani persero meno di cinquecento uomini, perché
la Prussia aveva vaccinato il suo esercito contro il virus, e la Francia no.
Non c’è mai stata una dimostrazione più clamorosa del potere di un vaccino di
cambiare il corso della storia. Alla ne del decennio molti paesi europei
avevano già approvato leggi per rendere obbligatoria la vaccinazione.
E le conseguenze furono positive. Nel 1899 il
vaiolo fece poco più di cento vittime in Germania, un paese di cinquanta
milioni di abitanti. Quando l’epidemia scoppiò negli Stati Uniti, più o meno
nello stesso periodo, il direttore generale della sanità Walter Wyman si appellò
ai dati europei per raccomandare la vaccinazione obbligatoria di tutti gli
americani. Il vaiolo era diventato così facile da prevenire, scrisse, che “il
malato di oggi quasi non merita la nostra compassione”. In tutti gli Stati
Uniti furono introdotte decine di normative e regolamenti per consentire ai
funzionari di polizia, alle autorità sanitarie e per no alle forze armate di vaccinare a oltranza, se necessario sotto la
minaccia delle armi.
Sceriffi
armati di ago
Come osserva Michael Willrich, uno storico
della Brandeis university, nel suo libro Pox: an american history,
grazie a quelle iniziative il vaiolo smise di essere una minaccia alla salute
pubblica negli Stati Uniti. Una vittoria che in un certo senso ha avuto anche
dei costi, spiega Willrich, perché ha dato il via a “una delle più importanti
battaglie del novecento per le libertà civili”: quella tra libertà personale e
salute pubblica. Uno scontro furibondo che si ripropone ancora oggi negli Stati
Uniti, dove sempre più genitori si rifiutano di vaccinare i figli contro le comuni
malattie infettive dell’infanzia. Si può dire che la vaccinazione universale è
il più grande successo della storia della medicina. Ma il movimento in suo
sostegno ha anche una storia politica, ed è una storia molto meno rassicurante.
Il vaiolo è stato uno dei virus più mortali che
abbiano mai afflitto l’umanità: uccideva dal 25 al 60 per cento delle persone
contagiate, e chi sopravviveva restava sfigurato per sempre dalle cicatrici. I
primi sintomi erano febbre, malessere, dolori muscolari e vomito. Subito dopo
apparivano delle lesini alla bocca e poi l’orrenda firma del morbo: un’eruzione
spaventosa. Nel giro di quarantotto ore le vescicole si diffondevano su tutto
il corpo, il viso del malato si gonfiva e il dolore diventava atroce. Un
manuale di medicina navale del 1900 descrive le fasi finali: “Le pustole si
rompono facendo uscire il siero e si formano le croste, prima sul viso e poi
sulle altre parti del corpo”.
Il virus arrivò per la prima volta in Europa
tra il quinto e il settimo secolo e fu spesso endemico nel Medioevo. Nel 1700
la vaiolizzazione, cioè la deliberata infezione con il vaiolo, era già stata
tentata con successo come misura preventiva. Era pericolosa, ma sicuramente
molto meno della malattia vera e propria. Al paziente venivano fatte aspirare
croste secche di vaiolo in modo che contraesse una forma leggera della malattia
e diventasse immune a nuovi attacchi. Il predicatore coloniale Cotton Mather,
che aveva saputo della vaiolizzazione da un suo schiavo, tentò di introdurre il
trattamento durante l’epidemia che colpì Boston nel 1721, ma fu denunciato come
“ministro dell’inoculazione” e la sua casa fu incendiata. Il vero e proprio
vaccino – il primo al mondo – fu inventato alla fine del settecento da Edward
Jenner, un medico di campagna inglese. Dopo aver notato che le mungitrici
raramente venivano contagiate dal morbo, Jenner ipotizzò, correttamente, che l’esposizione
al vaiolo bovino – un virus simile al vaiolo ma molto meno virulento – garantisse
la resistenza alla malattia.
Oggi gli statunitensi si aspettano che il governo
risponda a ogni grave contagio e riesca a contenerlo. Ma alla fine del diciannovesimo
secolo non era così. L’idea di chiedere aiuto al governo era insolita, e nel profondo
sud degli Stati Uniti era inconcepibile. Poi, a metà degli anni novanta dell’ottocento,
dopo decenni di relativa quiescenza, il vaiolo cominciò a difendersi nelle
comunità del Kentucky e in altri stati del sud. Si scatenò il panico.
Sentendosi indifese contro il virus, le comunità
chiesero aiuto al Marine hospital service, il precursore del servizio sanitario
principi radicati, e profondamente americani, di libertà personale. Per tutte
queste ragioni, oltre al fatto che lo stesso vaccino ogni tanto uccideva
qualcuno, la resistenza fu forte. Gli abitanti di molti quartieri bruciavano i
“lazzaretti” – gli ospedali dove i pazienti infetti venivano tenuti in isola meno
– scappavano all’arrivo dei vaccinatori, si opponevano alla polizia,
fabbricavano certificati di vaccinazione falsi o si rifiutavano di consegnare
alle autorità i parenti malati.
I funzionari sanitari
alimentarono il risentimento applicando le leggi in_essibilmente e senza andare
troppo per il sottile, soprattutto con gli immigrati al nord e i neri al sud.
Nel febbraio del 1901 scoppiò un’epidemia a New York, e una squadra di vaccinazione
fece irruzione nei popolosi quartieri italiani dell’Upper East Side, dove
riteneva si trovasse il focolaio dell’infezione. Scrive Willrich: “Seguirono lo
stesso metodo in ogni isolato. Con poliziotti appostati sui tetti, davanti ai
portoni e nei cortili sul retro, i dottori e la polizia entravano nei caseggiati
e bussavano alle porte svegliando uomini, donne e bambini. Spaventati e furibondi,
gli abitanti si spostavano nelle zone illuminate, dove i medici verificavano se
avevano pustole in faccia o i segni del vaccino sul braccio. Tutti quelli che
non avevano un segno distinguibile dovevano sottoporsi alla vaccinazione”.
I bambini infetti venivano
strappati dalle braccia delle madri e messi in un lazzaretto, dove spesso
morivano: allora come oggi non esisteva una terapia efficace. Molte delle
persone che venivano trascinate via non parlavano inglese, e spesso erano fuggite
da paesi dove c’era un regime, per vivere in quella che pensavano fosse una democrazia.
Il partito antivaccinazione fu aiutato da un’inspiegabile
anomalia epidemiologica: negli anni novanta dell’ottocento apparve una nuova forma
del virus, molto più debole e non mortale come le precedenti. Uccideva solo l’1
per cento delle persone contagiate, e molti medici non erano neanche sicuri che
le eruzioni fossero un sintomo di vaiolo. Altri pensavano che il virus fosse diventato
abbastanza debole da poter essere ignorato. Questo incoraggiò gli oppositori della
vaccinazione, anche perché il vaccino in sé costituiva un rischio.
Immunità di gregge I vaccini usati oggi negli
Stati Uniti sono sottoposti a test clinici per anni e passano attraverso diverse
fasi di autorizzazione prima di essere approvati dalla Food and drug administration.
I controlli continuano anche dopo l’introduzione.
Negli anni novanta le autorità sanitarie statunitensi hanno chiesto il ritiro
dal mercato del vaccino antipolio orale perché aveva provocato la malattia in
una decina di bambini. La versione più recente, usata da più di un decennio, ha
eliminato anche questo rischio. Ma nel 1900 la Food and drug administration non
esisteva, e non esistevano neppure norme federali su come realizzare,
sperimentare e somministrare i vaccini. Introducendo leggi che rendevano
obbligatoria la vaccinazione senza prevedere misure di sicurezza, il governo
non fece nulla per rassicurare chi giudicava con sdegno e orrore quest’obbligo.
Il vaccino del vaiolo era prodotto nel modo più sgradevole possibile: le mucche
venivano infettate con il Vaccinia virus, o virus del vaccino, che è
abbastanza simile al vaiolo da stimolare anticorpi protettivi, e successivamente
dalle loro lesioni veniva estratto del pus carico di virus. La sostanza veniva
poi applicata sulla pelle precedentemente incisa e scorticata di un arto. Il
vaccino era efficace e relativamente sicuro.
Ma non esistevano statistiche disponibili al pubblico,
e le persone spesso confondevano la vaccinazione con la tecnica meno precisa
della vaiolizzazione, che si era dimostrata letale per una persona su
cinquanta. Quando il vaiolo uccideva il 30 per cento o più degli ammalati, il
calcolo delle probabilità era chiaramente a favore della vaccinazione. In
un’epidemia meno grave, in cui morivano poche persone, il rifiuto del vaccino
era molto più sensato.
Ma il calcolo sociale della vaccinazione non
può mai essere ridotto alla stima del vantaggio individuale. Vaccinando la maggioranza
degli appartenenti a una comunità si protegge anche chi non è vaccinato, perché
si eliminano le riserve di virus nella popolazione. L’effetto è noto come
immunità di gregge. Certe persone troppo giovani o con un sistema immunitario
particolarmente debole a causa di un tumore o di altre malattie non possono
essere vaccinate. Per loro l’immunità di gregge è l’unica difesa. Se la
maggioranza è vaccinata, non corrono rischi eccessivi, ma quando i tassi di
vaccinazione scendono sotto un certo livello questa protezione svanisce
rapidamente. Chi rifiuta il vaccino
mette a repentaglio non solo la sua salute, ma anche quella di chiunque capiti
sulla sua strada.
La rivolta contro il vaccino del vaiolo seguì
strade diverse, compresa quella del ricorso alla giustizia. All’inizio del
novecento furono intentate numerose cause legali per difendere il diritto
individuale di disporre liberamente del proprio corpo. Il caso più famoso,
Jacobson contro Massachusetts, ebbe come protagonista Henning Jacobson, un
emigrato svedese che durante l’epidemia di vaiolo del 1902 viveva a Cambridge. Jacobson,
che era un pastore protestante, si rifiutò di rispettare l’ordine di vaccinazione
impartito dall’amministrazione della città perché, disse, un vaccino lo aveva
fatto ammalare da bambino. Era anche convinto che i vaccini avessero fatto
ammalare suo figlio, e dichiarò di conoscere altre persone che avevano avuto
problemi di salute. Il caso raggiunse la corte suprema nel 1904, quando le
malattie infettive rimanevano la principale causa di morte negli Stati Uniti. La
corte confermò il diritto degli stati di rendere obbligatoria la vaccinazione
stabilendo che, malgrado l’estrema importanza dell’autonomia personale, era
compito dello stato proteggere i cittadini da minacce alla loro salute e al
loro benessere.
La sentenza Jacobson assicurò agli stati il
sostengo giuridico, ma non risolse i conflitti di fondo sulle misure coercitive
in materia di salute pubblica. Le battaglie sulla vaccinazione infuriano ancora
oggi, e internet ha amplificato il dibattito. Ci sono ancora persone che
intentano cause e che, come Jacobson, si affidano a prove aneddotiche per
sostenere che i vaccini rappresentano una minaccia più grave delle malattie che
scongiurano. Molti genitori statunitensi e britannici si rifiutano di vaccinare
i figli contro il morbillo perché temono che il vaccino possa provocare
l’autismo, eppure diversi studi dimostrano che i vaccini contro il morbillo
sono sicuri e non hanno nessun rapporto con l’autismo. Ci sono perfino pediatri
che rifiutano di curare bambini che sono stati vaccinati. I vaccini funzionano stimolando
la resistenza del sistema immunitario. Purtroppo, la resistenza al vaccino si è
rivelata altrettanto formidabile.
Un problema politico
La solidarietà di Willrich con chi si opponeva
all’obbligo di vaccinazione all’inizio del secolo può essere istruttiva, ma a
volte lo porta a spingersi troppo oltre. “Il movimento per l’abolizione della
schiavitù e il rifiuto della vaccinazione obbligatoria erano legati da un’affinità
naturale”, scrive. “Entrambi sostenevano il diritto di disporre del proprio corpo
come conditiosi ne qua non della libertà umana, entrambi diffidavano delle istituzioni
ed entrambi suscitarono il disprezzo dell’opinione pubblica, convinta che si
trattasse di due cause pericolose sostenute da una minoranza di pazzi”.
Alcuni avversari dei vaccini presentavano
obiezioni legittime, altri erano davvero, e lo sono tuttora, una minoranza di
pazzi, e il costo delle loro pazzia viene pagato dall’insieme della società. È
assurdo sostenere che chi si opponeva alla più efficace misura di sanità
pubblica nella storia aveva un’“affinità naturale” con il movimento per la
liberazione di esseri umani schiavizzati da altri esseri umani. Dopotutto, oggi
è facile opporsi ai vaccini perché la maggioranza delle persone li accetta.
Grazie alla vaccinazione, il morbillo – che nei paesi in via di sviluppo uccide
almeno 150mila persone all’anno – non è più una minaccia significativa negli Stati
Uniti da molto tempo. Questo crea un paradosso: le autorità sanitarie devono
lottare contro le conseguenze dei loro successi. Nell’ultimo decennio, negli Stati
Uniti c’è stato un forte ritorno di malattie prevenibili con il vaccino, un
ritorno alimentato in gran parte dalla paura. In Minnesota c’è un’esplosione di
morbillo, l’anno scorso in California i casi e le morti di pertosse hanno
raggiunto una cifra record. Willrich ci ricorda che la vaccinazione non è mai
una semplice questione medica e tecnologica: è anche un problema politico.
Nel 2009 in Messico è
apparso un nuovo virus influenzale, l’H1N1 , che minacciava una pandemia
globale. L’Organizzazione mondiale della sanità, sbagliando sul fronte della
sicurezza, ha dichiarato il massimo livello di allerta internazionale. Poi il
virus è sostanzialmente scomparso. Come per gli scoppi di vaiolo nei primi anni
del novecento, la minaccia sembra svanita. Secondo un sondaggio recente, oggi
più di un terzo degli statunitensi rifiuterebbe un vaccino antinfluenzale per
sé e per i propri figli.
Eppure nessuno è in grado di prevedere in che
modo un virus può evolvere e quale potrà essere la sua virulenza. Potrebbe dissolversi,
come sembra sia avvenuto all’H1N1. Oppure, come il virus che provocò la
pandemia d’influenza nel 1918, potrebbe costare la vita a milioni di persone. È
significativo che il vaiolo, un flagello per migliaia di anni, sia oggi
scomparso dalla faccia della terra, a eccezione di due minuscole fialette, una
custodita in una struttura di massima sicurezza nel centro per il controllo
delle malattie di Atlanta e un’altra conservata con lo stesso livello di
protezione in Siberia. Prima di essere eradicato, nel 1977, il virus aveva
ucciso 300 milioni di persone solo nel ventesimo secolo.
Ma non c’è ragione di pensare che non ci saranno
più pandemie. Un’autorità sanitaria che consideri la vaccinazione come un fatto
puramente tecnico non riesce a cogliere il vero scontro di valori – non ultimo
quello tra benessere sociale e libertà individuale – descritto da Willrich.
Difendere la vaccinazione significa prendere sul serio i suoi avversari, significa
sforzarsi di capire le ragioni di questa opposizione e riflettere su come riuscire
a prevenire e allontanare la sfiducia. La vaccinazione moderna è un trionfo
della medicina. Il suo declino sarebbe un fallimento della politica.
Chi rifiuta il vaccino mette
a repentaglio non solo la sua salute, ma anche quella di chiunque capiti sulla
sua strada
L’AUTORE
Michael Specter è un
giornalista statunitense che vive a New York. Si occupa di scienza, tecnologia
e questioni sanitarie per il New Yorker dal 1998. Il suo ultimo libro è Denialism: how irrational
thinking hinders scientific progress, harms the planet, and threatens our lives
(The Penguin Press 2009).
Internazionale
924, 18 novembre 2011, pag. 59-61
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