di Margherita Fronte
Il 7,6% dei neonati italiani è stato esposto
all'alcol nell'utero materno e ha quindi un rischio aumentato di sviluppare
caratteristiche fisiche e deficit nervosi e comportamentali della sindrome feto-alcolica.
Lo ha stabilito il primo studio sul tema in Italia, condotto dall'Istituto
Superiore di Sanità (Iss) in collaborazione con 7 neonatologie di altrettante,
diverse città. «A Roma il 29,4% dei neonati ha avuto contatto con l'alcol in
utero, il tasso scende nel Nord-Est (zero a Verona)» spiega Simona Pichini,
ricercatrice dell'Iss e responsabile dell'indagine. «Queste differenze
riflettono l'efficacia delle campagne di informazione, pianificate in modo più
attento proprio dove l'abitudine all'alcol è più diffusa». Le manifestazioni
più importanti della sindrome feto alcolica, come per esempio certe
caratteristiche del volto e i gravi deficit comportamentali e neurologici, sono
legate a un consumo di alcol massiccio. «Ma non c'è una soglia al di sotto
della quale l'assunzione di alcolici in gravidanza possa dirsi sicura» dice
l'esperta. «Anche un uso giornaliero moderato, che in altre fasi della vita è considerato
normale, può determinare deficit intellettivi, sindrome da iperattività,
comportamenti aggressivi e violenti durante l'adolescenza, problemi di
socializzazione e ritardi nella crescita. Per questo,
raccomandiamo alle donne che
aspettano un bambino di astenersi completamente dell'alcol. Anche l'eccezione
di una sola sera può essere pericolosa, se proprio in quel momento il feto sta
sviluppando qualche parte del sistema nervoso». La diagnosi precoce è fondamentale
perché interventi tempestivi possono limitare i danni. «Per aumentare l'allerta
fra i medici abbiamo prodotto una guida che aiuta nella diagnosi» conclude
Simona Pichini.
Corriere della Sera, 2 ottobre
2011, pag. 58
Nessun commento:
Posta un commento