Quelle mamme in piazza per salvare il reparto di maternità

di Gilberto Oneto
  La storia meriterebbe la penna di Giovannino Guareschi. Nell’ambito della razionalizzazione dei servizi ospedalieri, la Regione Piemonte ha deciso di chiudere il reparto maternità di Domodossola concentrando i servizi nel capoluogo provinciale di Verbania. Casi del genere scuotono le redazioni dei giornali e le segreterie dei politici: a Domo si sono scatenate le mamme che sono scese in piazza a migliaia inalberando cartelli del genere “I nostri figli devono nascere in valle”. La comunità (38Comuni) si è sollevata non tanto contro i rigori dei tagli nella sanità quanto contro l’idea, carica di valenze ancestrali e di simboli i denti tari, di fare nascere i figli “lontano”,di condannarli a una servitù ultronea sulla carta di identità. Insomma, le sale chirurgiche e gli impianti diagnostici più sofisticati possono anche andare bene a Verbania, ma culle e cicogne devono essere locali. Alla rivolta vandeana si sono accodati i poteri politici di destra e di sinistra.
  Parrebbe un frutto coltivato apposta per la Lega, che è il primo partito in una valle che ha antiche e solide pulsioni
autonomiste: invece il governatore Cota, non si è limitato a una spiegazione tecnica ma si è lanciato in una invettiva contro la maternità di Domo paragonandola allo stabilimento della Thyssen, che gli ha subito guadagnato il gemellaggio con Erode. Se si aggiunge che la Lega ha appena perso il Comune di Domo a causa delle dimissioni di un sindaco che ha preferito il ruolo e lo stipendio di consigliere regionale, si capisce come essa abbia abbandonato il ruolo di portavoce di una valle ribelle e percorsa da venti di libertà (si ricordi la Repubblica del 1944.
  Questa vicenda delle culle sembra essere una sorta di paradigma dell’Italia di oggi, uno straordinario microcosmo con la vocazione del laboratorio sociale. Ci sono tutti gli ingredienti: la ribellione alla strafottenza della casta, il fastidio per gli schieramenti politici e ideologici consolidati, la richiesta di coinvolgimento della gente nelle decisioni che la riguardano, un gagliardo localismo autonomista, l’insofferenza per le ingerenze pubbliche in questioni che hanno una forte valenza sul piano personale e famigliare e - non ultimo – la contestazione di una Provincia che è stata creata pochi anni fa mettendo assieme una realtà identitaria piuttosto forte e definita (l’Ossola) con due pezzi di altre realtà smembrate: il Verbano e il Cusio. Le razionalizzazioni e i tagli sono buoni e necessari ma non possono mai andare contro le esigenze più elementari di popolazioni che – come quella delle valli alpine - si sentono emarginate e sfruttate: lavorano e pagano fiordi tasse per mantenere gli sprechi di una burocrazia e di un potere politico che sono indulgenti con se stessi quanto severi e punitivi con i cittadini. Anche senza richiamare le contrapposizioni antiche fra Strapaese e realtà urbane, fra montagna e pianura, fra periferia e centro, non si possono ignorare le esigenze di chi deve subire scelte e imposizioni nel ruolo subalterno e umiliante di contribuente spremuto e di abitante di territori disagiati. Le cicogne sono animali miti ma non gli si deve toccare il nido. Quelle ossolane potrebbero dare beccate dolorose. E liberatorie.
Libero, 26 luglio 2011, pag, 18

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