di
Ricardo Franco Levi
Sarebbe
fare torto alla cultura e alla personalità del presidente sminuire
il significato della scelta del diritto allo studio come primo campo
nel quale dare prova di concreta fedeltà alla Carta costituzionale.
Nel
messaggio al Parlamento il diritto allo studio
appare, invero, come
elemento costitutivo e primario del «patto costituzionale che
mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti
fondamentali e pari dignità».
Mai
come oggi, nella società che è la nostra e che giustamente si
definisce società della conoscenza, il sapere fa la differenza:
nella possibilità di affermarsi nel mondo del lavoro, di partecipare
in modo attivo e consapevole, da protagonista e non da gregario, alla
vita della società. Mai come oggi, proprio perché può fare e fa la
differenza, il sapere rischia di diventare la fonte della più grande
e permanente diseguaglianza, quella tra chi sa e chi non sa, tra chi
ha avuto accesso alla migliore istruzione e chi ne è stato escluso.
Ma
come dare «alla nostra comunità» una risposta «efficace» e
«adeguata» a questa che, tra le
«sfide che abbiamo di fronte» —
sono ancora e tutte parole del messaggio del presidente Mattarella —
è forse la più ardua? Da dove partire? Dove poggiare il primo passo
per evitare l’inutile fuga in avanti delle grandi promesse?
Dalla
base. Questa può essere la risposta. È nei primi e primissimi anni
di vita che il bambino, come una spugna, è più aperto ad assorbire
conoscenze. È su questa decisiva fase della vita che si deve
intervenire per offrire, per quanto possibile, uguali opportunità a
tutti i bambini. Nulla e nessuno potrà mai contare e fare di più di
genitori capaci e disponibili a parlare, a leggere ai propri bambini,
ad accompagnarli, ora dopo ora, giorno dopo giorno, a scoprire il
mondo.
Ma
la scuola può fare molto, moltissimo, soprattutto per le famiglie
più svantaggiate e i bambini meno fortunati. La scuola è lì per
questo. Facciamola allora iniziare un anno prima. Non più a sei, ma
a cinque anni. Per tutti. Superando l’attuale normativa che prevede
che nella scuola primaria (quella che una volta si chiamava scuola
elementare) si entri al compimento dei sei anni entro il 31 dicembre
di ogni anno e offre la possibilità dell’anticipo solo per i
bambini che compiano i sei anni entro il trenta aprile dell’anno
successivo. Portiamo sotto la cura e la protezione della scuola con
un anno di anticipo tutti i bambini e con loro, in primo luogo,
quelli che a cinque anni, in molte regioni e soprattutto nel
Mezzogiorno, stanno non in un’aula ma nella strada, e contribuiremo
(quasi certamente con poca o nessuna spesa aggiuntiva) a ridurre una
grave fonte di ineguaglianza e di ingiustizia.
Ma
non è tutto. Anticipiamo di un anno l’ingresso nella scuola
primaria e daremo un sollievo importante a tutte le strutture e a
tutti i soggetti, pubblici e privati, impegnati nella cura e
nell’educazione dei bambini da zero a cinque anni, agevolando,
così, l’estensione di questi servizi sociali fondamentali,
distribuiti in modo gravemente diseguale da Nord a Sud, a una fascia
sempre più ampia della popolazione. È compito e impegno della
Repubblica — ha detto il presidente Mattarella citando l’articolo
3 della Costituzione e certamente memore della sua passata esperienza
come ministro della Pubblica istruzione — «rimuovere gli ostacoli
che limitano la libertà e l’eguaglianza». Partiamo dalla scuola.
Asili
nido Cambiando l’attuale normativa si potranno estendere i servizi
sociali per i più piccoli
Scelte
Il presidente Mattarella nel suo discorso alla Camera ha messo al
primo punto l’Istruzione
Corriere
della Sera, 19 febbraio 2015
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