Le culle delle mamme over 50

Più numerose le maternità tardive con l’aiuto della scienza: a 58 anni partorisce un bimbo all’ospedale di Sulmona
di Marina Mastroluca

  Fiocco azzurro nell’ospedale di Sulmona, madre e figlio stanno bene. Lui quasi tre chili e mezzo, lei 58 anni. Una volta si sarebbe detta mamma-nonna, ma è ancora così? Le mamme largamente oltre i 50 anni sembrano essere state sdoganate dal bel pancione di Gianna Nannini, madre a 54 anni, che si è fatta fotografare per la copertina di Vanity Fair con addosso una t-shirt e la scritta: «God is a woman». Dio è una donna. L’onnipotenza è donna. Oltre il ticchettio dell’orologio biologico, oltre il tempo, oltre gli anni che ti condannerebbero alla rinuncia e a dirti che hai perso l’ultimo treno.
  Su quei vagoni in corsa oggi si può salire ancora,magari con l’aiuto delle biotecnologie. Della repubblica Ceca, nel caso di Sulmona, la cicogna arrivata con l’inseminazione artificiale per la coppia di sposi già maturi. Non sembra nemmeno più un’eccezione, anche se lo è: ogni anno in Italia nascono 550-570.000 bambini, quelli di madri anziane si possono ancora contare sulle dita di una mano, infinitamente di meno dei figli di madri-bimbe, 10.000 ogni 12 mesi. Delle mamme-nonne invece riusciamo ancora a conoscere i casi. Come quello di Maria, che nel ‘94 aveva 56 anni quando decise di farsi aiutare da Severino Antinori, per riempire le braccia rimaste vuote dopo la morte del figlio, Claudio. Allora sembrava un azzardo, ora meno. Appena un anno fa a Torino una donna di 57 anni ha messo al mondo
una bimba, il padre già settantenne. E in Europa ci sono casi più estremi. In Spagna, nel 2006 Maria Carmen Bousada a 67 anni ha avuto due gemelli, rimasti orfani tre anni dopo. Tineke Gessink ha fatto discutere l’Olanda pochi mesi fa per aver partorito una bimba a 63 anni, anche lei con l’aiuto di Antinori, «l’apprendista stregone» secondo Madame Figarò: la legge locale stabilisce il limite di 45 anni per la fecondazione artificiale. Il senso del limite tradotto in cifra e codificato.
  Ma quale è davvero questo limite? Ha un senso parlarne ancora, con una società che invecchia eppure ha una speranza di vita sempre più lunga? «Il dominio sulla biologia può portare alla considerazione che esista una sorta di immortalità »,dice il demografo Antonio Golini. Che però non vede un nesso tra le madri ultracinquantenni e il trascolorare della nostra società sui toni grigi della terza età. Semmai sono i tempi lunghi, il protrarsi innaturale dell’adolescenza e della stessa età adulta. «Ritardiamo tutto, continuiamo a chiamare ragazzi uomini e donne di oltre 40 anni. E così cambia anche la percezione della propria età e cambiano le aspettative. Come quella di un figlio, che è iscritta nel patrimonio genetico delle donne, e che si risveglia anche quando è biologicamente tardi»,dice Golini. Bambini invecchiati, eterni ragazzi, adulti in ritardo. Convinti di avere sempre e ancora tempo.
   La discronia tra l’orologio biologico e il desiderio-la possibilità di un figlio - perché non sempre, anzi sempre meno spesso il rinvio è una scelta - si può spingere fino a forzare la «normalità» che medici e demografi non spingono oltre il limite, già estremo, dei 50 anni e che il senso comune colloca molto prima. Non solo per i rischi per la salute di madri e figli tardivi,ma anche per quel gap generazionale che in Italia, ad esempio,ha portato il legislatore a fissare una differenza massima di 40 anni tra genitori e figli adottivi.
  «Si finisce per pensare più a se stessi che al figlio come persona. La maternità è intesa come un passaggio per completare un’esperienza individuale», dice la psicologa Anna Oliverio Ferraris. Figli che difficilmente si vedranno diventare adulti. Figli che parleranno una lingua diversa da genitori tanto più anziani di loro. Figli destinati a diventare precocemente orfani, scardinati da una rete familiare. «È brutto vietare – dice Oliverio Ferraris -. Ma i medici dovrebbero interrogarsi molto su quello che fanno, se i genitori non sono in grado di essere responsabili nei confronti dei figli che verranno».
  Responsabilità. Parola difficile da declinare con la programmazione genetica alla maternità. Il desiderio di un figlio può essere brutale, il logico. Eppure quelli che per diritto d’anagrafe dovrebbero essere più portati a soddisfarlo, restano fermi sulla soglia. Paese a denatalità forzata dalla mancanza di lavoro, di sicurezze purché minime, di prospettiva. Di fronte alla culla ritardataria di Sulmona, con tutti gli auguri che merita una nuova vita, bisognerebbe forse cominciare a pensare se questa non sia il riflesso delle culle vuote dei trentenni di oggi. Una società che rimanda eternamente a domani, e che non ha cuore e testa per i più giovani, rischia di scoprire che il futuro - come le bugie - ha le gambe corte.
L’Unità, 22 luglio 2011,  pag, 21

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