Nicla
Panciera
Gettati
così alle spalle i timori di un eccessivo sovraccarico del cervello
quando è ancora in via di sviluppo, paure che fino a qualche anno fa
angosciavano tanti genitori, la tendenza si è invertita. Pur di non
privare il proprio pargolo di questi vantaggi intellettivi, oggi
molti padri e madri,potendoselo
permettere, investono grandi somme in prestigiose scuole private con
docenti stranieri e, perché no, in una tata non italiana. E come
dare loro torto? Sono in molti a declamare le meraviglie del
bilinguismo, a
cominciare dagli stessi ricercatori. Mase le cose non
stessero
realmente
così?
La
ricerca del neurologo Da anni Sergio Della Sala, neurologo e
psicobiologo, direttore dell’unità di «Human Cognitive
Neuroscience» dell’Università di Edinburgo, studia gli effetti
non verbali del bilinguismo. «Dopo molti test - spiega - ci siamo
accorti della maggiore facilità di pubblicare i risultati positivi
del bilinguismo piuttosto che quelli negativi». La volontà di
vederci chiaro, così, l’ha spinto
ad analizzare gli «abstract », ovvero i risultati preliminari delle
ricerche in corso presentate ai congressi dedicati al bilinguismo dal
1999 al 2012. Risultato, pubblicato su «Psychological Science », la
rivista dell’Association for Psychological Science: esiste uno
scarto significativo tra gli
studi condotti e quelli poi realmente pubblicati. Del centinaio di
«abstract» considerati, il numero di quelli che andavano verso una
conferma della superiorità cognitiva dei bilingue - in particolare
nei test di controllo cognitivo - poco si discostava dagli altri che
confutavano, parzialmente o totalmente, questa ipotesi. Eppure, il
68% dei primi è stato pubblicato, a fronte del 29% dei secondi.
«Abbiamo
fatto notare che lo stato delle conoscenze non permette di
considerare i vantaggi cognitivi del bilinguismo come un fatto
acquisito e che, se un beneficio esiste, non è così pervasivo come
si è voluto credere», commenta Della Sala, che non nega comunque
vantaggi di altro tipo, «come la gioia di socializzare con
stranieri, la possibilità di godere di un romanzo o di un film in
lingua originale o l’allargamento di propri orizzonti culturali»
La
vicenda solleva, quindi, una questione scottante: come i risultati
della ricerca vengono selezionati e come la conoscenza possa venire
distorta dal processo di pubblicazione dei risultati stessi.
I lgioco dei
risultati Le variabili sono tante: i ricercatori sono guidati
dall’imperativo «Pubblica o muori» («Publish or perish») e le
riviste sono più propense a pubblicare risultati positivi, più
certi dal punto di vista statistico rispetto a quelli negativi, senza
dimenticare l’«effetto carrozzone »
per il quale anche gli studiosi tendono ad aderire alle posizioni più
accettate.
Corriere
della sera, 11 febbraio 2015
Nessun commento:
Posta un commento