di Lucia Esposito
C'era
una volta Heidi che faceva "ciao" alle caprette e aiutava
l'amica Clara in carrozzina, c'erano i Barbapapà animalisti ed
ecologisti che ci lasciavano di stucco coi loro "barbatrucchi"
e le trasformazioni più improbabili. C'era Winnie the Pooh,
l'orsetto grasso che lievitava all'ombra del bosco dei cento acri
bevendo ettolitri di miele ma capace di grandissimi gesti di
amicizia. C'era la cagnetta Pimpa che perdeva per strada le sue
macchie rosse ma che faceva la felicità del suo
padrone Armando…
Mai
si erano visti in televisione dei maiali che ruttano senza ritegno,
grugniscono in continuazione, si rotolano nel fango allegramente e
che, quando ridono, si ribaltano sul pavimento sbellicandosi come
idioti.
Liberatemi,
vi prego, dalla famiglia Pig. Qualcuno mi spieghi cosa c'è di
educativo in questo cartone che sta lentamente trasformando mio
figlio di tre anni in un suino. «Tu sei mamma Pig», mi dice quando
si sveglia. «No, Francesco io non sono un maiale», gli rispondo
piccata. Lui arriccia il naso, dice «oink» e scappa via. Quando al
mattino va a scuola, si guarda attorno con la stessa attenzione con
cui un bracco ungherese cerca i tartufi nel bosco e, appena
intercetta una pozza d'acqua, si fionda per saltarci dentro. «Come
Peppa Pig» salta e ride mentre i suoi occhi roteano come biglie per
individuare un altro specchio d'acqua fangoso in cui rotolarsi come
un porcellino. Inutile provare a spiegargli che i maialini sono
sporchi e puzzano e che la loro casa, il porcile, è un posto lurido
e nauseabondo. Lui dice che «Patata City» (la città in cui vive la
maledetta famiglia Pig) è bella e pulita. Per non parlare del rutto
tra una portata e l'altra, diventato la colonna sonora dei miei
pasti. Davvero non so come sia capitato ma lo spirito della famiglia
Pig si è impossessato di lui e viene fuori senza alcun ritegno
proprio quando tutti tacciono e non si può far finta di non aver
sentito. «Non si fa, i maiali lo fanno» e lui: «Ma io sono Peppa
Pig».
Allontanarlo
dal tavolo non fa che scatenare il processo di identificazione con la
famiglia di suini perché invece di piangere, invece di starsene
umiliato in camera, va in bagno, prende il braccio della doccia fa
cadere acqua sul pavimento e si mette a saltare nella pozza.
Per
chi è fuori da questo incubo perché non ha figli tra i due e gli
otto anni, Peppa Pig è un cartone animato che ogni sera ipnotizza
mezzo milione di bimbi. È la storia di una famiglia di maiali (mamma
Pig, papà Pig, il fratellino George di due anni e la protagonista
Peppa di quattro anni). I suini non vivono in un porcile ma, pur
mantenendo comportamenti propri della specie, sono umanizzati. Il
povero signor Pig, il padre, è un pasticcione inetto, incapace di
fare qualsiasi cosa (in un episodio per piantare un chiodo, fa
crollare una parete) che si fa prendere in giro dai figli senza dire
un «oink» sia perché è più grasso del normale sia perché è un
fallimento che cammina. Lui e sua moglie non sono in grado di dare
una sola regola comportamentale ai figli e, quando ci provano, non
sono credibili. Non si fanno rispettare. Peppa e George fanno quello
che vogliono, inzozzano di fango la casa, rompono il pc con cui la
mamma lavora. Viziati e ribelli, trasmettono ai bambini l'idea che
tutti sono uguali, che la loro parola-grugnito vale quanto quella dei
genitori. Vogliamo poi parlare di George? A due anni dice solo e
sempre «dinosauo», attaccato come una cozza al suo peluche verde
ripete ossessivamente le stesse cose da centinaia di puntate senza
che nessuno (tranne Peppa Pig che lo chiama «tontolone») si faccia
delle domande sull'evoluzione del linguaggio del piccolo, senza che
nessuno gli spieghi che si dice «dinosauro» e gli dia qualche
informazione in più sull'animale preistorico.
I
dialoghi sono semplici, il vocabolario basico, i personaggi ripetono
sempre le stesse parole, il disegno dei cartoni è elementare, eppure
i bambini sono pazzi di questi porcellini. Molti esperti dicono che
Peppa Pig piace tanto perché riproduce un modello di “famiglia
normale”: i genitori che vanno al lavoro, i figli affidati ai
nonni, le gite della domenica, i capricci a cui non seguono
punizioni... Adesso, gli psicologi avranno anche le loro ragioni ma
io da un po' ho vietato al mio bimbo di vedere «Peppa Pig»: perché
per me non è normale che a cena rutti con lo stesso orgoglio di chi
prende dieci in pagella. Ridatemi i barbatrucchi di Barbapapà!
Libero,
3 maggio 2014
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