Il fumo compromette lo sviluppo prenatale del bambino

Il Centro Helmholtz per la ricerca ambientale ha scoperto i meccanismi molecolari che stanno alla base di un ridotto funzionamento del sistema immunitario del bambino sottoposto al fumo passivo già in gravidanza

 
  L’informazione c’è, e anche martellante. La si trova un po’ ovunque: sui pacchi di sigarette stessi e sui media che quasi ogni giorno riportano i risultati di qualche ricerca. Non si può dunque affermare di non conoscere i rischiosi effetti avversi del fumo. Eppure, come sotto l’influsso di una vera e propria droga anche le persone che ne conoscono la pericolosità non riescono a smettere di fumare.



  Il problema “fumo” potrebbe all’apparenza sembrare personale: fumo, quindi rovino la mia salute. Ma, in realtà, le cose non stanno proprio così, perché chi fuma può danneggiare anche la salute degli altri. Per cui, quando
a esserne coinvolto è anche chi ci sta intorno, però, bisognerebbe porre particolare attenzione. E’ il caso dello studio coordinato dalla dott.ssa Gunda Herberth e la dott.ssa Irina Lehmann del centro di ricerca tedesco UFZ (www.ufz.de) che hanno voluto conoscere i meccanismi molecolari che sono alla base della compromissione dello sviluppo prenatale dei bambini.


  Per questo hanno analizzato la relazione tra madri fumatrici già durante la gravidanza e l’associazione con il rischio di allergie nei loro figli. L’attenzione è stata rivolta su alcune piccole molecole di RNA, denominate microRNA-223 e microRNA-155, sulle cellule T regolatrici del sangue appartenente alle donne gravide e al cordone ombelicale alla nascita dei propri figli. Nello stesso tempo sono stati raccolti anche numerosi dati con l’ausilio di questionari e di test sulle urine delle future mamme, al fine di comprendere qual era il livello di esposizione al fumo di tabacco e relativi composti organici volatili. 


  Tra le partecipanti vi erano 315 mamme, di cui solo il 6,6% erano donne fumatrici. Allo studio sono stati
sottoposti, in totale, 441 bambini. Dai risultati è emerso che in seguito a un’elevata esposizione di composti organici volatili (i tanto temuti VOC) associati al fumo di tabacco, corrispondevano altissimi valori del mir-223. Ma non è finita qui: infatti quando tali valori erano elevati anche nel sangue del cordone ombelicale del neonato – e di conseguenza anche il mir-223 appariva alterato – con valori delle cellule T che erano molto bassi. E’ proprio tale riduzione di cellule T che aumenta non di poco la probabilità di sviluppare allergie prima dei tre anni di età. Probabilità molto più elevata rispetto ai bambini con valori di mir-223 e cellule T nella norma.

  «Adesso sappiamo di più sui processi molecolari che si attivano durante un’esposizione al fumo durante la gravidanza», affermano i ricercatori. La ricerca, basata sullo studio LINA (fattori di stile di vita e ambientali e la loro influenza sui neonati a rischio allergia) e pubblicata sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, apre la strada a nuove ricerche nel campo del microRNA e la relative reazioni sul sistema immunitario. Ciò che trapela da questo genere di studi è l’importanza di informare le future generazioni circa l’altissimo rischio di contrarre malattie e nuocere alla salute degli altri individui fin dalla prima sigaretta. Fondamentale, quindi, non è smettere ma non farsi convincere a provare la prima “bionda”.



La Stampa, 9 dicembre, pag, 

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