Non occorre una terapia per far scendere la temperatura se il bambino non è sofferente e gioca tranquillo
di Roberta
Villa
Le
medicine non si danno per abbassare la febbre, ma solo, quando
necessario, per alleviare il malessere del bambino. «Se il piccolo
ha 39°C di febbre ma è tranquillo e gioca senza lamentarsi, non
occorre nessuna terapia» dice Alberto Tozzi, pediatra dell'Ospedale
Bambino Gesù di Roma. «La febbre non è il nemico da combattere, ma
una reazione dell'organismo per difendersi dalle infezioni —
conferma Marina Picca, presidente della Società Italiana delle Cure
Primarie Pediatriche —. Va trattata solo quando rende il piccolo
sofferente e irritabile, non lo lascia dormire o mangiare
normalmente». I pediatri lo ripetono da anni, ma è difficile
scalfire quella che è stata ribattezzata "febbre-fobia",
l'idea infondata che l'aumento della temperatura possa provocare
danni
cerebrali o altre conseguenze gravi.
Inutile
cercare di abbassarla con spugnature o altri mezzi fisici, che
possono irritare ulteriormente il bambino. E se è vero che non va
imbacuccato, anche spogliarlo per farlo raffreddare non serve.
LE
NUOVE LINEE GUIDA - Tutto questo è ribadito anche
dalle nuove Linee guida del NICE, il National
Institute for Health and Care Excellence britannico: «I
due farmaci antipiretici autorizzati nei bambini sotto i sei anni,
paracetamolo e ibuprofene, vanno usati per contrastare il malessere
del bambino, e soltanto finché il malessere dura». Il rischio,
altrimenti, è di fare più male che bene. «Anche attenendosi alle
dosi consigliate è possibile superare nel corso della giornata la
soglia di tossicità» mette in guardia Antonio Clavenna, farmacologo
presso il Laboratorio per la salute materno infantile dell'Istituto
Mario Negri di Milano. «Oppure, è possibile danneggiare il fegato
se si prosegue con le dosi massime consentite per parecchi giorni —
aggiunge Tozzi —.
Le indicazioni del foglietto illustrativo che
raccomandano un intervallo di 4-6 ore per il paracetamolo e di
6-8
ore per l'ibuprofene non vanno intese nel senso che dopo questo tempo
si deve ridare il farmaco, ma solo che lo si può fare se il bambino
è di nuovo sofferente». Viceversa, se il disagio non migliora dopo
aver dato uno dei due medicinali, o torna prima che sia trascorso il
tempo necessario per una seconda dose, gli esperti inglesi per la
prima volta ammettono che si può provare a utilizzare l'altro. «Ma
occorre farlo con cautela, — sottolinea Clavenna — perché in
passato sono stati segnalati danni renali». «Inoltre questa
alternanza espone al rischio di errori», dice Picca, che raccomanda
di non dare comunque mai i due medicinali insieme. «Mai inoltre
accorciare il tempo tra le due somministrazioni di uno stesso farmaco
— consiglia il farmacologo — perché in questo modo, anche se la
dose quotidiana totale resta nella norma, si possono raggiungere
picchi di concentrazioni pericolose».
INTOSSICAZIONE
- La segnalazione di alcuni casi di intossicazione da
paracetamolo ha spinto qualche anno fa l'Agenzia italiana del farmaco
a modificare il foglietto illustrativo, che ora fa riferimento sia
all'età sia al peso del bambino. «Nel caso in cui vi sia
discordanza, quel che conta è il peso» chiarisce il farmacologo
Clavenna. «Perché la dose effettiva assorbita sia quella prevista è
preferibile dare questi medicinali per bocca — aggiunge la pediatra
Marina Picca — riservando le supposte ai casi in cui il vomito
impedisce la somministrazione orale». I due farmaci se usati bene
sono molto sicuri, sebbene la Food and Drug Administration americana
abbia segnalato rarissime, ma gravi, reazioni cutanee da
paracetamolo, mentre l'ibuprofen può provocare qualche disturbo
gastrico, come tutti gli antinfiammatori.
Corriere
della Sera 27 settembre 2013, pag
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