Bambini piccoli in alta montagna

È pericoloso? I medici si dividono

Ma sui rischi generali i pareri sono discordi. Il pediatra: dove va un padre può andare il figlio

di Federico Genta


Non è stata la quota ad uccidere il piccolo Elia. È un caso di morte improvvisa che poco ha a che fare con il tipo di coperte utilizzate durante il sonno. Ancora meno con il fatto che il bambino di otto mesi si trovasse in un rifugio a 2900 metri.

  I risultati dell’autopsia, disposta dalla procura di Torino, scagionano i genitori e la loro decisione di raggiungere le vette della Valgrisenche. Ma il dibattito, sull’opportunità di portare con sé un lattante in alta montagna, non si ferma. Se i medici sono d’accordo sulla necessità sembrano tutti d’accordo sulla necessità di prestare la massima attenzione al luogo dove il bambino dovrà riposare, restano divisi sui rischi legati alle trasferte in alta quota.

La mancanza di casi impedisce posizioni condivise

Troppi rischi

Guido Giardini è il responsabile dell’ambulatorio di Medicina di montagna di Aosta e presidente della Società italiana medicina di montagna. «Al di là del caso specifico, sconsigliamo sempre alle famiglie di superare i 2.500 metri con bimbi che non hanno ancora compiuto un anno. Questo perché non sono ancora in grado di esprimersi: dovessero accusare i primi sintomi del mal di montagna non saprebbero come comunicarlo a mamma e papà».

  Il discorso cambia quando si parla di «già acclimatati». «Chi è nato o vive in montagna, correrà evidentemente meno rischi a salire ulteriormente. Per tutti gli altri, lo ripeto, è meglio aspettare».

  Leggende metropolitane Una posizione che non sembra trovare conferme nelle parole di Giuseppe Ferrari, primario emerito della divisione di pediatria e neonatologia dell’ospedale Mauriziano.

 «Ai genitori che mi chiedono consigli rispondo sempre che dove arriva un padre può arrivare suo figlio -
commenta - Non c’è nessuno studio scientifico che confermi rischi reali per un bimbo sano che viene portato gradualmente in quota. Nel nostro mestiere non possiamo basarci su quelle che non sono altro che pure leggende metropolitane».

  L’attenzione maggiore, piuttosto, deve essere rivolta agli ambienti che accoglieranno il lattante. «E’ meglio evitare locali troppo caldi e magari affollati, come i dormitori. I bimbi devono riposare su un letto abbastanza grande senza essere troppo coperti. Sono precauzioni semplici che non valgono solo per chi spinge fino a un rifugio. Sono importanti anche per chi deve trascorrere qualche giorno al mare».

  Vince il buon senso

Chi preferisce non sbilanciarsi in considerazioni nette è il primario dell’ospedale infantile Regina Margherita, Alessandro Vigo. È responsabile del centro regionale per la morte improvvisa del lattante. «Proprio perché non ci sono numeri importanti per definire un quadro preciso dei rischi, trovo doveroso far prevalere il buon senso - considera – Per questo non incoraggerei mai una coppia a portare un bambino così piccolo in un luogo impervio».

Vigo in ogni caso non vuole in alcun modo condannare i genitori di Elia. «Hanno seguito un percorso lento proprio per far abituare il figlio alla riduzione d’ossigeno. Il fatto che fosse al rifugio da 5 giorni, dimostra che la disgrazia non ha alcuna relazione con le condizioni esterne. Alle volte anche tutte le attenzioni possono non bastare».

La vetta

Il rifugio Degli Angeli di Valgrisenche, in Valle d’Aosta, che gli stessi genitori di Elia Giannelli, otto mesi, hanno contribuito a riaprire, nel 2006. A Ferragosto, il bambino è stato trovato avvolto nel suo sacco a pelo, in arresto cardiaco


La Stampa, 20 agosto 2013, pag, 49

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