I racconti delle fate

Carlo Collodi 
I racconti delle fate
Gallucci Editore, pagg.347, Euro 18,00


  IL LIBRO – L'autore di Pinocchio aveva quasi cinquant'anni - e non si era mai dedicato alla scrittura per l'infanzia - quando si accinse a tradurre su commissione il best-seller francese dell'epoca, i "Contes de ma mère l'Oye" di Charles Perrault, adattandolo al proprio stile, ricco e umile allo stesso tempo.

Una raccolta di fiabe diventate da allora notissime anche in Italia con i titoli "La bella addormentata nel bosco", "Cappuccetto rosso", "Il gatto con gli stivali", "Cenerentola", "Pollicino", "Pelle d'asino", "Barba-blu".

Incuriosito e poi sempre più affascinato dall'incarico, Collodi decise di aggiungere anche quattro storie di Madame d'Aulnoy e due di Madame Leprince de Beaumont. Nacque così "I racconti delle fate": il primo e tardivo libro per ragazzi dello scrittore toscano, ma così importante da influenzare il suo destino per l'eternità.

   UN BRANO - "La bella addormentata nel bosco

"C'era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto. Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina.
  Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate.
Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini.

 
Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perché da cinquant'anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro massiccio, perché di queste ne erano state ordinate solamente sette, per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e brontolò fra i denti alcune parole di minaccia.
  Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì, e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto. Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo: un'altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito: la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto: la quinta che avrebbe cantato come un usignolo: e la sesta, che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da strasecolare.
  Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le persone della corte, e non ci fu uno solo che non piangesse.
  A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la portiera e disse forte queste parole:
"Rassicuratevi, o Re e Regina; la vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l'incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore: la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s'addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a svegliare".
  Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, col quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita.
Fatto sta, che passati quindici o sedici anni, il Re e la Regina essendo andati a una loro villa, accadde che la Principessina, correndo un giorno per il castello e mutando da un quartiere all'altro, salì fino in cima a una torre, dove in una piccola soffitta c'era una vecchina, che se ne stava sola sola, filando la sua rocca. Questa buona donna non sapeva nulla della proibizione fatta dal Re di filare col fuso. "Che fate voi, buona donna?", disse la Principessa."

  INDICE DEL VOLUME – Barba-Blu – La bella addormentata nel bosco – Cenerentola – Puccettino – Pelle d’asino – Le fate – Cappuccetto rosso – Il gatto con gli stivali – Enrichetto dal ciuffo – La bella dai capelli d’oro – L’uccello turchino – La Gatta Bianca – La Cervia nel bosco – Il Principe amato - La bella e la bestia

L’AUTORE - Carlo Collodi (il cui vero nome è Carlo Lorenzini), nasce a Firenze nel 1826. La madre, Angelina Orzali, benché diplomata come maestra elementare, fa la cameriera per l'illustre casato toscano dei Garzoni Venturi - la cui tenuta a Collodi rimarrà uno dei ricordi più cari del piccolo Carlo - e in seguito presso la ricca famiglia Ginori di Firenze. Il padre Domenico Lorenzini, di più umili origini, debole di carattere e fragile di salute, lavora come cuoco per gli stessi marchesi Ginori.
Primogenito di una numerosa e sventurata famiglia (dei dieci figli, sei ne muoiono in tenera età), Carlo frequenta le elementari a Collodi, affidato ad una zia. Malgrado il carattere vivace, inquieto e propenso all'insubordinazione, viene avviato agli studi ecclesiastici presso il Seminario di Val d'Elsa e poi dai Padri Scolopi di Firenze.
Quando il fratello Paolo Lorenzini diventa dirigente nella Manifattura Ginori, la famiglia acquista finalmente un po' di serenità e di agiatezza, e Carlo può iniziare la carriera di impiegato e di giornalista.
Abbracciando le idee mazziniane, partecipa alle rivolte risorgimentali del 1848-49. Negli anni Cinquanta , nel suo ruolo appunto di giornalista, descrive la realtà toscana cogliendone i lati spiritosi e bizzarri, fatta di intrighi e storielle da caffè per mezzo di fulminanti invenzioni linguistiche. Tutto materiale che confluirà nel suo capolavoro, l'intramontabile Pinocchio.



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